La buca di Tiberio a Cornacchiaia

Mi appunto questo bel racconto, dalla penna di Tito Casini, divulgato da Sergio Moncelli nella comunità di Firenzuola. La storia è molto interessante e desidero annotarla qui sul sito per poterla ritorvare, nel caso mi saltassero fuori delle informazioni aggiuntive, fosse anche solo per poter localizzare la spelonca citata nel racconto, ed eventualmente delle fonti che lo confermino oppure smentiscano. Grazie Sergio, sei sempre una risorsa inestimabile

Per approfondimenti, si veda anche questo articolo

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Sergio Moncelli  La buca di Tiberio a Cornacchiaia
ovvero la morte di un imperatore.

Una leggenda che circolava moltissimi anni fa a Cornacchiaia, secondo la quale l’imperatore Tiberio non sarebbe morto a Capri, come ci dice Tacito nei suoi Annali, ma a Cornacchiaia nei pressi di una profonda grotta, nella quale avrebbe abitato per molti anni. Ce la racconta Tito Casini, che la pubblicò nel suo libro “La bella stagione”. Ce la racconta con la sua bella prosa asciutta ed essenziale, infarcita di termini contadini, che ci rammenta la lingua toscana di tanto tempo fa. Oggi si è persa la memoria del posto preciso in cui si svolse la vicenda; si sa che in altre parti ci sono buche legate a questa storia, ma fa sempre piacere leggerla, anche perchè parte di quel bagaglio di narrazioni legate alle nostre tradizioni.

Chissà se qualcuno conosce ancora questa leggenda o ne ha sentito parlare dai vecchi del paese. Forse, da qualche parte tra gli alberi e le rocce, il vento sussurra ancora il nome di Tiberio, e ricorda l’imperatore che volle sfuggire al cielo — e dal cielo fu infine ritrovato.

“Quella buona lana di Tiberio Claudio Nerone, il figlio di quella buona donna che fu Livia Drusilla, successore d’Augusto e secondo imperatore di Roma, eccetera eccetera, io la conoscevo, per fama, fin da piccino, assai prima che incominciassi a studiare la storia o sapessi almeno che roba fosse la storia, mentre non ignoravo cosa fossero le storie: Pia de’ Tolomei, la Genoveffa e altre ancora.

Non è vero affatto che l’imperatore Tiberio morisse nell’isola di Capri, come forse i libri vi han fatto credere, e in quel bel modo descritto da Tacito nel sesto libro degli Annali, ossia soffocato dal prefetto Macrone tra i guanciali, mentre, vecchio e malato fradicio, si riaveva da una sincope … Il fiero latino di Tacito, sì, anch’io lo conosco: … Macro intrepidus opprimi senem iniectu multae vestis iubet, discedique ab limine. Sic Tiberius finivit octavo et septuagesimo aetatis anno (1); sì, ma venite al mio paese e domandate a qualunque pecoraio, domandate di Tiberio, dell’imperatore Tiberio, e dove morì e come morì l’imperatore Tiberio, e tutti vi mostreranno non lontano da noi, a pie’ di monte, la tetra bocca di una spelonca, che non si sa quanto sia lunga ma dev’esser lunghissima di certo, e in cui nessuno entrerebbe per tutto l’oro del mondo.

E’ la Buca di Tiberio, e che si chiami così ci sono le sue ragioni.

Dovete infatti sapere – ma già voi lo sapete – che l’imperatore Tiberio fu un gran cristianaccio, anzi cristiano non era nemmeno, e invece i cristiani li perseguitò, cosa, questa della persecuzione, che se anche non fosse vera, poco bene e poco male per lui: tante sono le birbonate fatte da lui in vita sua, che una più o una meno … Per quelle sue tante birbonate, ma specialmente per avere perseguitato gl’innocenti cristiani, all’imperatore era stato anzi predetto – e proprio da uno dei cristiani fatti da lui martoriare – che sarebbe morto ucciso da un fulmine mandatogli per gastigo da Dio.

Al sentirsi predir questo, l’imperatore lì per lì s’era riso e aveva seguitato a farne d’ogni colore; ma poi andando in là con gli anni e ritornandoci sopra, cominciò a impensierirsi; coi pensieri la paura, e la paura gli venne tanto grande che quando vedeva il cielo rannuvolarsi correva difilato a nascondersi in cantina, e lo scoppio dei tuoni gli dava più uggia che a’ cani arrabbiati il suono delle campane. In ultimo, poi, non potendosi più vedere in Roma, dove tutto gli ricordava le sue grandi malefatte, pensò di fuggire, e fuggì, infatti …. nell’isola di Capri no, come dicono i libri di storia; fuggì tra i monti del mio Appennino. Qui, poi, sempre per la paura di quel tremendo fulmine minacciato e predetto, che cosa fece? Si fece scavare a piè di un monte la grande spelonca che ancora c’è e si chiama appunto la Buca di Tiberio, e vi si mise dentro, come una talpa nella sua galleria, senza più cacciare il naso fuori.

Così a fondo e lunga era la spelonca, che dei tuoni non vi giungeva nemmeno la più piccola risonanza; dimodochè lo scellerato imperatore, credendosi al sicuro dalla vendetta divina, ci si mise a star con superba tranquillità. Non che quel viver sempre al buio e all’umido e solo nelle viscere di una montagna fosse proprio un bel vivere, per chi specialmente, come Tiberio, allo squallore e ai disagi di una spelonca veniva dallo splendore e dagli agi di una corte; oh. Tutt’altro! Ma la paura …

Un giorno, però, il non volontario eremita, non reggendo più alla voglia di tornare a guardare com’era fatto il mondo, mise insieme un po’ di coraggio e s’affacciò alla bocca della spelonca.

Il mondo era fatto bene, non c’era che dire, e, chi avesse avuto la coscienza tranquilla, non importava essere imperatori, bastava esser pecorai, mangiare il pan nero e bere acqua di fonte, per esser felici. Ah, se non ci fosse stata quella maledetta minaccia di quel maledettissimo fulmine …!

Quel giorno, tuttavia, il tempo era così bello, il sole così sfavillante, il cielo così pulito e l’aria così asciutta (il pericolo, quindi, di un temporale con relativi fulmini così lontano) che sarebbe stato un peccato non restar fuori a goderselo. Così ragionò Tiberio e, dietro a quel ragionamento, non gli parve vero di mettersi sdraiato al sole, vicino, s’intende, alla bocca della spelonca, e risoluto di non allontanarsi di lì, di dove con un salto poteva mettersi al sicuro nel caso di un’improvvisa mutazione di tempo.

Steso sopra un macigno come un ramarro dopo i geli e il letargo dell’invernata, a Tiberio pareva d’esser rinato … Ma non eran passati cinque minuti di quel godimento che nell’azzurra limpidità del cielo si vide apparire, non più grande e non meno bianca di un bioccolo di candida lana, una nuvoletta.

Dire che quell’apparizione facesse piacere a Tiberio sarebbe dire un falso: ma non gli fece nemmeno una gran paura. – Nuvoli di caldo – pensò tra sé; – ci vuol altro prima che piova …!

• Ci vuol altro prima che piova …! badava a ripetere lo stolto sfidatore di Dio, mentre la nuvoletta, come sospinta dalle invisibili mani dei venti superiori, si muoveva per il cielo, proprio verso di lui.

• Ci vuol altro prima che piova …! – ripeté ancora mentre la nuvoletta stava proprio per passargli sul capo.

La storia non ci dice se ci volle altro perché piovesse, o seppure piovve; dice, però, che non ci volle altro perché si compiesse la vendetta divina. Giuntagli infatti sul capo, la piccola candida nuvola si fece all’improvviso nera come la notte e, sull’ali di fuoco del fulmine, l’ira tremenda di Dio n’uscì lampeggiando e tuonando a far vendetta del peccatore orgoglioso.

Il grande macigno su cui Tiberio rimase fulminato è ancora lì, spaccato anch’esso e annerito dal fulmine, presso la bocca della spelonca. Di quella pietra nessuno oserebbe servirsi per costruire, come nessuno oserebbe mettere il capo o il piede dentro la spelonca. Di notte poi sarebbe ben coraggioso chi s’azzardasse anche solo a passarci vicino. Qualcuno che ha dovuto passarci necessariamente o la mattina a bruzzolo o la sera verso il calar del sole – corona in mano e segni di croce – ha visto entrarvi e uscirne a frotte e volando certi animalacci con certe alacce come di pipistrello, ma pipistrelli no di certo perché i pipistrelli non sono così grossi, e poi e poi … Insomma ci vuol poco a capirlo, che cosa sono; e Dio vi guardi dal doverci passar di notte in disgrazia sua!

(1) Macrone, senza paura, ordina che il vecchio sia soffocato gettandogli sopra un mucchio di vesti e di allontanarsi dalla soglia di casa. Così Tiberio morì nel settantottesimo anno di età.”

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