“Cortigiana”. Polemica ridicola e manipolatoria.

Prendo spunto da un episodio ridicolo dal vaudeville della politica italiana e i suoi pietosi teatrini, per affrontare un discorso che ritengo molto serio e urgente, perché va a toccare un modo di far politica diffuso in tutto il mondo occidentale, che sta minando la tenuta di molte democrazie.
Il sindacalista italiano Maurizio Landini ha definito Giorgia Meloni una “cortigiana” di Trump e là fuori si sta scatendando l’inferno. No signori, non le ha dato della prostituta, non è un’offesa sessista la sua come vorrebbe dare a intendere il vittimismo strumentale della diretta interessata. Il termine cortigiana ha un’accezione molto più ampia e nella fattispecie è stato impiegato in modo perfettamente appropriato, per satireggiare sul ruolo di Giorgia Meloni nella politica estera: una cortigiana nel senso politico del termine, quello che descrive chi fa la riverenza al potente di turno pur proclamandosi sovrana. Una critica legittima, una satira feroce, implacabile, ma motivata da comportamenti reali che mette il dito nella contraddizione più evidente di questo governo: riempirsi di slogan come Prima gli italiani e poi piegarsi sistematicamente agli interessi del dominatore straniero.
Ma eccoci qui a parlare di sessismo, di linguaggio inappropriato, di offese alle donne. Giorgia Meloni si è vittimizzata come sempre, deviando tutto sull’accezione volgare del termine, ha accusato la sinistra di incoerenza, creando una realtà alternativa che esiste solo nella sua mente per non voler riflettere sulle critiche mosse dai rappresentanti dei suoi cittadini, come fanno i paranoici, gli schizofrenici. E noi imbecilli ci stiamo cascando un’altra volta, pure a sinistra: stiamo discutendo su una parola di cui non conosciamo il significato pienamente, riducendolo a sinonimo di prostituzione (non è così). Ci concentriamo sul contenitore, non sul contenuto. Una trappola perfetta, funziona sempre. Il procedimento è semplice: qualcuno critica Giorgia Meloni su aspetti sostanziali come la sua prona sudditanza internazionale, le sue scelte politiche, la distanza tra propaganda e realtà, lei non risponde nel merito. Mai. Carica una parola o una parte di discorso altrui di un significato diverso da quello inteso, decontestualizza affermazioni, si offende, si indigna, contrattacca. E il dibattito pubblico deraglia completamente.
Non importa quale parola avesse usato Landini in alternativa a quella: qualsiasi termine, anche il più neutro, sarebbe stato piegato, manipolato, trasformato in un’arma contro chi l’ha pronunciato. Il problema non è la parola. È il metodo, creare cortine fumogene per evitare il confronto reale. L’errore non è di Landini. È nostro, di chi continua a farsi intrappolare in queste schermaglie semantiche, perdendo di vista il punto centrale. Meloni è una leader autonoma o è una marionetta subalterna? Il suo sovranismo è credibile o pura retorica? Questi interrogativi sprofondano nella sua inadeguatezza al ruolo, inghiottiti dalla polemica sul linguaggio. C’è qualcosa di profondamente schizofrenico in questo. Giorgia Meloni, che ha costruito la sua carriera su insulti feroci, diffamazioni quotidiane, attacchi personali a chiunque la contrastasse, ora si erge a paladina del rispetto e del linguaggio appropriato. La stessa persona che vive di aggressività verbale pretende delicatezza quando è lei il bersaglio. E il sistema mediatico le va dietro, amplificando la contraddizione invece di svelarla. Ma la verità è che il termine le brucia proprio perché si attaglia in modo perfetto al vestito invisibile che lei pensa di indossare, pur continuando a sfilare nuda in parata, come nella fiaba di Andersen.
Questa doppiezza non è involontaria, non risponde all’ignoranza propria ma si rivolge all’ignoranza di chi la segue e tenta di infiltrarsi anche nella schiera di chi le si oppone. E’ una strategia. Serve a polarizzare, confondere, paralizzare il dibattito. Mentre siamo qui a discutere di minuzie da grammar-nazi, le questioni vere come la tenuta democratica, le scelte economiche, la posizione internazionale dell’Italia, scivolano in secondo piano. E intanto? Intanto la Cina costruisce il futuro. Intanto altri paesi investono, innovano, affrontano le crisi e le risolvono. Noi invece perdiamo tempo in queste sciocchezze, vittime di una classe politica che ha fatto della manipolazione verbale la sua unica vera competenza.
Dovremmo parlare di sovranità energetica, di politica industriale, di posizionamento geopolitico. Invece parliamo di sessismo immaginario e parole fraintese. Questo il vero danno: non la critica di Landini, ma l’impossibilità di fare critica seria in un paese dove ogni parola può essere trasformata in scandalo, ogni analisi in offesa personale. Giorgia Meloni è una perfetta cortigiana dello Zio Tom americano, una bambolina messa lì per obbedire a qualsiasi ordine dello yankee neofascista, sovrano di quella destra estrema che continua a supportare il suo patetico baraccone mediatico, senza il quale non sarebbe che una maga di Oz. La satira di Landini sbatte in faccia agli italiani un sistema politico incapace di affrontare i problemi reali. E noi, tutti noi, siamo complici ogni volta che abbocchiamo all’amo, ogni volta che lasciamo che il dibattito scivoli dalla sostanza alla forma.
Basta. Torniamo a parlare di politica per favore.