Capolavori della letteratura russa. Proposte di lettura

Ci sono momenti in cui la letteratura riesce a dar voce con grande lucidità alle contraddizioni fondamentali di un’epoca, la letteratura russa degli ultimi due secoli rappresenta uno di quei momenti: in un arco di tempo relativamente breve, da Puškin a Gor’kij, si forma un paradigma narrativo che anticipa buona parte delle inquietudini contemporanee. La selezione di autori e opere che compone questa raccolta non risponde a criteri antologici, né ambisce alla rappresentatività enciclopedica. Il filo conduttore che lega Puškin, Turgenev, Tolstoj e Gor’kij, insieme alle voci del folclore tradizionale, è la capacità di elaborare figure e situazioni realistche, vividamente descritte, che trascendono il fatto reale per assumere quasi un valore archetipico: sono testi che non descrivono soltanto la Russia del tempo, ma indagano nel profondo dell’animo umano.

Aleksandr Puškin inaugura la modernità letteraria russa attraverso l’elaborazione di quello che potremmo definire un realismo dell’assurdo. Nelle Novelle di Belkin e nel Cavaliere di Bronzo, sviluppa una tecnica narrativa che aderisce solo in apparenza ai canoni del realismo borghese, svelandone l’intima inadeguatezza di fronte all’irrazionalità dell’esistenza. Il mastro di posta configura Samson Vyrin come archetipo dell’uomo moderno schiacciato dai meccanismi sociali che non comprende. La sua condizione non è meramente sociologica (l’impiegato di basso rango vessato dai superiori) ma esistenziale: l’individuo che scopre la propria impotenza di fronte a forze storiche che lo trascendono. Questo piccolo uomo puškiniano diventerà paradigmatico per tutta la letteratura successiva, da Gogol’ a Kafka. La signorina-contadina sviluppa invece una riflessione sulla costruzione artificiale dell’identità sociale. Il gioco di travestimenti che struttura la novella non è un emplice espediente comico, ma una riflessione sulla natura performativa della personalità borghese: la scoperta dell’amore passa necessariamente attraverso lo smascheramento delle convenzioni sociali, anticipando tematiche che ritroveremo in Tolstoj e Čechov.
Il Cavaliere di bronzo porta alle estreme conseguenze la dialettica tra individuo e Storia. Pietro il Grande, scolpito nella statua bronzea, incarna la grandezza dell’imperatore che si realizza attraverso l’autoritarismo e la prevaricazione. Evgenij, il piccolo impiegato che osa ribellarsi al monumento (non all’uomo, si noti), è l’umanità offesa che rivendica la propria dignità.

Ivan Turgenev è il padre del realismo russo. Le Memorie di un cacciatore non si limitano a denunciare l’istituzione servile, ma elaborano una fenomenologia dell’oppressione che trascende l’apetto propriamente storico per indagare anche a livello personale e umano i meccanismi più profondi della subalternità. Chor e Kalinych sperimenta un modo di ritrarre i personaggi che diventerà centrale nella narrativa moderna: la caratterizzazione indiretta attraverso gesti e parole apparentemente casuali. I due contadini non sono tipi sociologici ma personaggi complessi, che sfuggono alla pura e semplice schematizzazione ideologica. Ermolaj e la mugnaia approfondisce la questione femminile attraverso la figura di Arina, donna che scopre l’amore passionale troppo tardi per poterne godere senza mettere in discussione la vita familiare. La tecnica del “non detto” qui tocca uno dei suoi vertici: la tragedia di Arina si rivela attraverso silenzi e reticenze che dicono più di ogni spiegazione esplicita. È un procedimento che anticipa direttamente Čechov e la sua poetica dell’understatement. Vendetta è sulla persistenza di codici arcaici in una società in trasformazione: la vendetta del vecchio contadino è in realtà la riaffermazione di una giustizia alternativa a quella dello Stato moderno. Turgenev non giudica ma registra, documentando la complessità, quasi antropologica, di una società che non ha ancora elaborato sintesi convincenti fra tradizione e modernità.

Lev Tolstoj, nella brevità di Sudoma, manifesta quella capacità di trasformare l’aneddoto in parabola filosofica che caratterizza la sua arte matura. Il racconto, che dura appena due minuti di lettura, condensa un’intera visione del mondo: la storia del contadino che scopre l’inutilità della ricchezza attraverso un sogno premonitore. La tecnica narrativa tolstojana procede per rivelazione improvvisa: la verità non emerge attraverso l’analisi razionale ma si manifesta come illuminazione che trasforma radicalmente la percezione della realtà. Sudoma anticipa i grandi racconti della maturità dove la morte o la sofferenza funzionano come strumenti di conoscenza che svelano l’inautenticità dell’esistenza borghese. La scelta di includere questo testo apparentemente marginale risponde a una precisa valutazione critica: Sudoma documenta il momento in cui Tolstoj elabora quella poetica della semplicità che caratterizzerà l’ultimo periodo della , ma distillazione: ogni parola necessaria, ogni dettaglio porta significato.

Maksim Gor’kij rappresenta quel particolare momento storico in cui la tradizione letteraria russa incontra la modernità della rivoluzione industriale, con tutte le sue contraddizioni. La madre segna il passaggio dalla rappresentazione dell’individuo isolato (l’eroe romantico, l’uomo superfluo) alla narrazione della coscienza collettiva in formazione. La struttura episodica del romanzo, qui rappresentata attraverso dei capitoli autonomi, riflette una concezione della realtà sociale come processo in continua trasformazione. Ogni episodio documenta una fase nella presa di coscienza della classe operaia: dalla maternità biologica alla solidarietà di classe, dall’amore privato alla lotta politica. Pelageya Vlasova, la protagonista, incarna l’archetipo femminile di una madre che si trova a interagire con un gruppo di giovani operai in lotta. La sua evoluzione da donna sottomessa a militante consapevole documenta la possibilità di trasformazione che risiede anche negli individui apparentemente più marginali. La scelta di rappresentare Gor’kij attraverso La madre piuttosto che attraverso i racconti giovanili risponde alla necessità di documentare il momento in cui la letteratura russa elabora una risposta alle violenze e all’oppressioni del proletariato. Il realismo gor’kijano non è più soltanto descrittivo, ma progettuale: immagina possibilità di trasformazione sociale attraverso la narrazione.

L’inclusione di materiali folklorici, dalle fiabe di Afanas’ev alle leggende popolari, non è solo una concessione al pittoresco, ma risponde a una precisa intuizione critica: la grande letteratura russa mantiene un rapporto organico con la tradizione orale che ne costituisce l’humus culturale irrinunciabile. Le figure archetipiche del folclore come la Baba-Jaga, Ilja di Murom, la devozione popolare ai santi, influenzano anche la letteratura colta. Il mondo contadino delle Memorie di un cacciatore, l’universo spirituale di Tolstoj, la dimensione corale di Gor’kij sono piene di rimandi a questo sostrato. La fiaba russa elabora inoltre strutture narrative (il viaggio iniziatico, la prova superata attraverso l’astuzia, la trasformazione magica della realtà) che ritroveremo sublimate nella narrativa borghese. Il cavallo incantato o Teresika non sono semplici curiosità etnografiche, ma testimoniano una diffusa concezione della narrazione come strumento di comprensione e trasformazione del mondo.

Il filo conduttore che unifica questa selezione è dunque la capacità condivisa di anticipare fenomeni che caratterizzeranno l’esperienza moderna: l’alienazione dell’individuo nelle società burocratizzate, la crisi dell’identità nelle comunità in trasformazione, la ricerca di autenticità in contesti sempre più disumanizzati. La letteratura russa dell’Ottocento si presenta, attraverso questi racconti brevi, come un laboratorio di forme e contenuti che anticipa molti dei grandi temi contemporanei. Questi autori non predicano né consolano, il loro realismo non è fotografico ma visionario. È una letteratura che non si limita a perseguire la semplice evasione, ma obbliga a un confronto lucido con la complessità dell’esistenza.


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