Una bocca inutile. Ada Negri e gli anziani nel 1917
Un racconto di straordinaria potenza narrativa scritto da Ada Negri, incluso nella prima raccolta di prose, “Le solitarie”, pubblicata nel 1917 dall’editore Treves a Milano. Primo di diciotto novelle, tutte incentrate sulla condizione femminile tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Un’opera fondamentale nella produzione letteraria della Negri, nata a Lodi nel 1870 e morta a Milano nel 1945. Fu poetessa, scrittrice, docente, prima e unica donna ammessa all’Accademia d’Italia. I temi affrontati in questo libro tornano e ritornano in tutto il Novecento, anticipando le principali questioni che animeranno il dibattito successivo intorno all’equità di genere.
Nonostante il valore artistico e tematico dell’opera, che ebbe un notevole successo fino alla Seconda guerra mondiale, “Le solitarie”, come gran parte della produzione di Ada Negri, subì un lungo periodo di silenzio critico per motivi di censura politica. Ancora oggi, sia il testo che l’autrice rimangono in una posizione marginale rispetto al canone letterario novecentesco.
“Il posto dei Vecchi” è il primo racconto che compone la raccolta, inizia con la morte del marito di Feliciana, Gigi Fracchia detto Rossini, un vetturino pubblico noto nelle taverne di porta Ticinese per la sua splendida voce tenorile e per la tendenza a spendere in alcol sia i propri guadagni che quelli della moglie, cucitrice di bianco. Feliciana non prova particolare commozione alla notizia della morte del marito all’ospedale. La sua filosofia è diretta e logica: chi è inutile è dannoso, chi è dannoso deve morire. Ritiene che per i suoi due bambini piccoli sia più vantaggioso avere una madre vedova ma attiva e sana, piuttosto che un padre alcolizzato.
Decide quindi di tirare il carro da sola fino a quando ne avrà le forze, confidando che i figli, una volta cresciuti, si prenderanno cura di lei. Consapevole dell’incertezza dei guadagni di una cucitrice, Feliciana si procura un lavoro più stabile in fabbrica. Il racconto segue quindi la sua vita di sacrifici per crescere i figli, fino a quando, divenuta anziana, si trova ad affrontare il problema della propria vecchiaia e dell’inutilità percepita in modo particolare dalle nuore dei suoi figli.
Tema centrale è chiaramente la questione dell’invecchiamento e del posto che la società riserva agli anziani, specialmente quelli economicamente più svantaggiati. Con spietata lucidità, Negri descrive come Feliciana, dopo una vita di sacrifici per i figli, si ritrovi ad essere considerata negli ultimi anni solo un peso, una ‘bocca inutile’.
Particolarmente toccante il paradosso dei nipoti socialisti che, pur parlando di una società più giusta, considerano le ‘bocche inutili’ (tra cui non si rendono forse conto che rientra implicitamente anche la nonna) indegne di vivere. Questo aspetto del racconto evidenzia con straordinaria efficacia l’ipocrisia di chi pur militando in favore degli ideali di giustizia sociale, finiscono per perpetuare le vecchie forme di emarginazione in modo inconsapevole.
Questo racconto di Ada Negri è visionario nella sua lucidità, perché va a toccare e approfondire con spietata puntualità e tagliente critica, il tema dell’assistenza agli anziani che inizierò a porsi in modo sistematico non meno di settant’anni più tardi e che ora, con le diverse aspettative di vita favorite dal progresso scientifico e tecnologico, si è tanto più articolato nel vasto tema delle residenze sanitarie assistite.
Mette inoltre in luce la contraddizione tra i valori professati a livello teorico, i buoni principi delle persone cui piace sentirsi ‘caritatevoli’ (ad esempio il rispetto per gli anziani, la solidarietà) e le pratiche sociali effettive (emarginazione, istituzionalizzazione). Infine sbatte in faccia al lettore la condizione della doppia vulnerabilità degli anziani poveri, colpiti sia dallo stigma dell’età, che da quello della dipendenza economica.
La conclusione amara del racconto, in cui l’autrice arriva a suggerire che per i vecchi poveri sarebbe meglio morire prima, è un’accusa potente verso una società che non sa o non vuole prendersi cura dei propri anziani, riconoscendo in loro la memoria storica e il valore dell’esperienza.