Scacchi d’amor cortese. L’evoluzione del potere femminile

Gli scacchi non sono mai stati solo un semplice passatempo, non è un caso che il nome stesso derivi dalla figura dello Shah, il sovrano nell’antica Persia: fin dalle origini il gioco riflette la struttura gerarchica della società, le tensioni fra guerra e diplomazia, violenza e astuzia, passione e ragione, furia omicida e calcolo strategico.
Quando il pezzo che anticamente rappresentava il Vizir, consulente maschile del re, divenne nel X secolo “regina” in Europa, non si trattò di un capriccio ludico, bensì di un segnale della crescente visibilità politica e simbolica del femminile nell’esercizio del potere.
Questo mutamento inaugurò un percorso in cui il ruolo delle donne si fece sempre più centrale negli scacchi. Non che anticamente questo ruolo fosse realmente del tutto misconosciuto, nella Grecia arcaica ad esempio, la sfera strategica dei giochi di strategia era già governata da figure femminili come Metis, dea della prudenza e della saggezza pratica, colei che tesseva piani ingegnosi per gli dèi e gli eroi.
Figlia di Oceano, questa era stata inghiottita da Zeus per timore che partorisse un figlio più potente di lui; proprio dal suo grembo, in un lampo di luce e fragore di tuono, nacque Atena, dea della guerra e delle arti tecniche, ma anche protettrice degli strateghi. Atena incarna il polo luminoso della razionalità, quello che nello scacchiere verrà più tardi proiettato sulla figura della Regina: creatrice di ordine, sapiente nel misurare ogni mossa.
Un tema vascolare tardo-antico mostra una partita in corso, forse alla Petteia, (antenato degli Scacchi), tra Ulisse e Palamede durante l’assedio di Troia, o tra Achille e Aiace sotto la supervisione di Atena – episodio che seppur poco attestato, suggerisce non solo un antico nesso fra strategia militare e gioco degli scacchi, ma anche un ruolo del femminile, nell’amministrarlo e insegnarlo ai guerrieri furiosi, incapaci di controllarsi, che combattono sotto l’insegna del crudele Marte.
Nel Medioevo ricorre l’immagine dei giocatori che si confrontano sotto lo sguardo attento di una o più donne, riprendendo il tema classico, poi in epoca rinascimentale fanno la loro comparsa in letteratura la ninfa Scacchide, nel poemetto latino Scacchia ludus di Girolamo Vida, e la dea Caissa in un poema settecentesco di William Jones.
Entrambe queste figure sono allegoria di una passione intellettuale, ma anche di un vincolo potenzialmente oscuro, un demone che cattura il giocatore nella rete delle 64 caselle. Scacchide assiste a un’epica partita fra Apollo (il poeta) e Mercurio (il ladro), vinta da quest’ultimo, che violenta la ninfa rivendicandola come un premio per la vittoria.
In alcune varianti del racconto, è lui a donarle una scacchiera di oro e argento, insegnandole il gioco in modo che possa trasmetterlo agli esseri umani, in altre è Apollo a svolgere questa funzione simbolicamente così importante, ribadendo così l’ambiguità del gioco, sospeso tra poesia e destrezza, sapienza e inganno.
Caissa eredita il fascino ambiguo di Scacchide, ma in lei predomina l’idea di un amore ludico, ma anche profondamente erotico, per la sfida intellettuale: è lei che si manifesta nell’ispirazione delle mosse pià spettacolari, ma è sempre lei che irretisce una sorta di incanto, un’infatuazione che incatena il giocatore alla scacchiera.
E’ possibile che queste figure femminili siano state elaborate in conseguenza dell’evoluzione che portò alla nascita degli scacchi d’pamore, ovvero il momnto in cui un pezzo prima solo marginale, quello della Regina, diviene il più importante. Nel corso dei secoli permane un sospettoso biasimo nei confronti di chi pratica il gioco d’azzardo, scommettendo forte sulle partite, cosa che la letteratura antica attribusce solo agli uomini, mai alle donne, le quali hanno piuttosto un ruolo educativo e didattico, nell’insegnamento del gioco e nella trasmissione dei suoi valori più profondi.
Si conoscono molte rappresentazioni nelle arti figurative di donne che giocano con gli uomini, o assistono da spettatrici a una partita, specialmente a partire dal Quattrocento, dopo la pubblicazione del poema Scacchi d’amore pubblicato a Valencia, fondato su una partita ideale tra Venere e Marte, simbolo di quella rieducazione del combattente furioso di cui si è detto in precedenza.
Il percorso da Metis ad Atena, dalla Sfinge a Scacchide fino a Caïssa, non è una semplice genealogia di personaggi mitici, ma la traccia di un profondo mutamento culturale: il gioco di strategia si emancipa da simulacro di un conflitto esclusivamente maschile, per diventare spazio di confronto con il femminile inteso come principio di intelletto, seduzione, e come un potere effettivo esercitato dal elemento femminile sull’animo umano.
Ricorre negli scacchi la figura del giocatore dannato, ludopate incallito, che gioca in modo professionale rincorrendo il miraggio della ‘mossa giusta’: è precisamente quello, lo stereotipo nel quale si andranno a incasellare a partire dall’Ottocento personaggi chiave degli scacchi contemporanei, come Alekin, Morphy, Fischer e altri, geniali sulla scacchiera quanto alienati nella vita.
Nella serie Netflix La regina degli scacchi, questa dannazione interiore va a ricadere su una donna, che entra nel circuito delle competizioni internazionali e inizia a sviluppare proprio quella sindrome da rapporto tossico con il gioco, della quale riuscirà a liberarsi soltanto nel finale.
E’ in questa serie che per la prima volta il ruolo del dannato viene a ricadere su un personaggio femminile, riportato alla realtà da personaggi maschili, cosa che non era mai avvenuta prima. Quella che sembrerebbe un’innovazione positiva per una