Hans Christian Andersen. La fanciulla che calpestò il pane. Riduzione per teatro di strada

Hans Christian Andersen
La fanciulla che calpestò il pane

Riduzione per il teatro di strada
a cura di Federico Berti

In collaborazione con
www.fornocalzolari.it
Mangirò 2021

Mangirò è una camminata di 12 chilometri, con degustazioni a tappe di street food italiano d’autore, che il forno Calzolari di Monghidoro organizza da undici anni invitando aziende partners da diverse località della regione. Quest’anno ho dedicato a Matteo Calzolari e al suo favoloso luna park del pane una fiaba di Hans Christian Andersen, che nella sua versione originale trovavo un po’ irritante per l’eccesso di moralismo al limite del sermone bigotto, ma con un po’ di accorgimenti narrativi mi sembrava potersi adattare anche al nostro immaginario di montanari ‘poveri ma ricchi’. Nel racconto dello scrittore danese infatti, era già presente il tema della ragazza mandata a servizio, della popolana che torna dalla città con diversi costumi e usanze rinnegando le proprie umili origini, argomenti sui quali ho voluto porre l’accento. E poi la fatidica questione della cooperazione, che guarda sempre più avanti della competizione, di cui il Mangirò continua ad essere un mirabile esempio: Matteo vola in alto come la rondine del racconto, poi scende fino a terra per raccogliere le molliche sparse, le riunisce nella grande pagnotta della condivisione, il pane della vita che ogni anno ci riuniamo per cuocere in un bosco.

La favola del pane

Riduzione per il teatro di strada a cura di Federico Berti

Quella che sentirete è la favola del pane. C’era una volta una bambina tanto dispettosa e superba, che la madre volle mandarla a servizio da una signora molto benestante perché imparasse un poco di umiltà, ma niente da fare: abituandosi a vivere nelle tende ricamate, nelle posate d’argento, la sua presunzione si accrebbe anziché diminuire, al punto che un giorno ritornando a casa e trovando la madre seduta s’un sasso nel sentiero, vestita di poveri stracci, lana caprina, zoccoli di legno con le bullette di ferro sotto, e una fascina di legna ai suoi piedi, provò vergogna di lei e se ne tornò di corsa dalla padrona senza nemmeno fermarsi a salutarla. Potete immaginarvi la signora, nel sentirla parlar male della madre volle esortarla a ritornare indietro e per convincerla fece preparare una grande forma di pane bianco bello caldo, fragrante, profumato, da portarle in dono. Perché ai poveri un tempo toccava il pane di crusca, segale e certe volte ci impastavano pure la terra dentro, solo i ricchi mangiavano il pane bianco, quello di farina buona e coi semi antichi. Insomma la bambina s’incamminò verso la montagna con questa forma di pane ancora caldo e un bel vestito nuovo di seta fina, con le scarpe firmate, dono della sua padrona. Giunta che fu a pochi passi dal paese, trovò il sentiero sbarrato da una gran pozza di fango e pensò tra sé: “Disgraziata che sono, ora dovrò sporcarmi questo bel vestito e le scarpette col fiocco d’argento!”. Per attraversare la buca di fango senza sporcarsi, le venne in mente allora una soluzione della quale dovette pentirsi per molti anni a venire: prese infatti la forma di pane bianco destinata a sua madre e non si fece scrupolo di gettarla nel fango, per saltarvi sopra e proseguire indisturbata il suo cammino. Ma il pane è un dono del cielo e della terra, non un sasso senz’anima, non appena vi posò il tacco della sua scarpina firmata, sprofondò con tutta la pagnotta dentro il fango, che si aprì sotto di lei per inghiottirla. Povera bambina, quante pene dovette patire da quel momento, se vi fermate ancora un po’ con me ne farò menzione… Dopo la prossima canzone.

Dicevamo dunque della bambina superba, che non aveva esitato a gettare nel fango una forma di pan bianco per non sporcarsi il vestito nel passarvi sopra. Venne inghiottita nella buca e si ritrovò come d’incanto in una palude sinistra, orribile, piena di bisce, ragni dappertutto, mosche e zanzare, che puzzava peggio di una fogna, altro che le tende e i broccati della sua padrona. Quel che è peggio, avrebbe voluto muoversi per cercare una via d’uscita ma si accorse che tutto il corpo era irrigidito come una statua di pietra, riusciva a muovere appena gli occhi. Vide che era sempre in piedi sopra alla pagnotta che le aveva donato la padrona di casa per sua madre. Le strisciavano addosso i serpenti, le camminavano i ragni sul volto, ronzavano gli insetti infilandosi nel naso, nelle orecchie, senza che lei nulla potesse fare per scacciarli. Quel che è peggio, sentiva le voci dei suoi compaesani che non vedendola ritornare si erano messi alla sua ricerca, senza poterla ritrovare. Passarono giorni, settimane, mesi e la bambina era sempre lì, alle porte dell’inferno, senza potersi muovere. Le era venuta su una fame che avrebbe mangiato un castello dalle fondamenta all’ultimo pinnacolo della torre più alta se avesse potuto, ma non poteva nemmeno inchinarsi per raccogliere quella forma di pane bianco sulla quale continuava a tenere fermo il piede. Nel frattempo, le voci di chi l’aveva conosciuta erano cambiate: tutti ricordavano adesso la sua presunzione, la superbia con cui aveva abbandonato la madre, che ogni giorno piangeva per la sua scomparsa. E piangi che ti rimpiangi, il tempo passò inesorabile. La madre e la padrona invecchiarono, lasciarono questo mondo senza che lei potesse mai più rivederle, la bambina comprese la gravità del gesto che aveva compiuto e si rivolse al cielo perché avesse misericordia di lei. Ma come andò a finire questa storia, se vi fermate ancora un po’ con me ne farò menzione… Dopo la prossima canzone.

Dicevamo dunque della bambina superba, che non aveva esitato a gettare nel fango una forma di pan bianco per non sporcarsi il vestito nel passarvi sopra. Inghiottita nella buca, si era ritrovata immobile davanti alla porta dell’inferno per tanti anni, in piedi sopra la sua pagnotta, ad ascoltare il pianto di sua madre e il biasimo della sua gente, finché non comprese la gravità del suo gesto e si rivolse al cielo perché avesse misericordia di lei. Fu allora che la bambina vide aprirsi le nuvole minacciose e rasserenarsi il cielo, in un baleno tornò a guardarsi e non vide più una bambina di pietra in piedi sopra una forma di pane, ma un uccellino in volo con le ali spiegate al vento. E volava nello spazio infinito, attraversava le nubi, scendeva in picchiata fin quasi a terra, risaliva. Quando vedeva una briciola di pane, si chinava a raccoglierla. E raccogline una, e raccogline un’altra, dopo aver placato l’appetito che l’aveva tormentata negli anni del digiuno, le tornarono in mente tutti quei poveri contadini che mangiavano solo il pane di crusca impastato con la terra, come sua madre. Portò a loro le briciole che continuava a raccogliere lungo il cammino e da quel giorno continuò a volare dappertutto, in ogni paese del mondo. Si dice che stia ancora volando, senza mai fermarsi nemmeno un secondo per riposare. E larga è la foglia, stretta la via, dite la vostra che ho detto la mia.

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