Odissea in Etiopia. Avventure d’un legionario.

Odissea in Etiopia. Libro, romanzo storico.
Edouard Manet, Le Bar aux Folies-Bergère, 1882

 

L’avvocato degli anarchici

Odissea in Etiopia VIII

 

Al caffè degli artisti.

Si trovava in mezzo a un bel giardino circondato da siepi odorose e adornato di fiori, in fondo alla sala dietro il profilo dei tavoli s’innalzava il bancone coi suoi bianchi marmi. Ermete e Arduino restarono sull’uscio, senza dire una parola. Quel giorno s’erano riuniti in clandestinità la figlia d’un ricco e potente industriale piemontese con un compagno al quale Igor Potier aveva procurato documenti falsi e contatti per ricostruirsi un’esistenza provvisoria. Locale affollato, un suonatore di violino accompagnava il movimento di due danzatori, prima a notare i nuovi arrivati fu la cameriera che s’affrettò a raggiungere l’avvocato e sussurrargli in un orecchio: “Quei due laggiù, vedete? Non li conosco, devo lasciarli entrare?”. A quelle parole, l’uomo si fece scuro in viso: “Non ricordate forse a quante mense ospitali abbiam dovuto sedere noi stessi, prima d’arrivare in Francia? Credo sian qui per me, accompagnateli pure”.

 

I due sedettero al tavolo ammirando tutt’intorno la bellezza degli arredi, tendaggi, mobilia finemente decorata che impreziosiva l’ambiente. Venne servito del vino, Ermes parlò con sottile ironia. “Si direbbe la reggia del re Menelao di Sparta, più che un caffè della piccola borghesia europea!”, Igor Potier sorrise: “Cari compagni qui la ricchezza materiale non conta, siamo solo un casellario vuoto. Come voi non ho più un nome dunque non più diritti né doveri, il nulla che possiedo m’è costato più dei giardini di Babilonia al potente Nabucco: negli ultimi otto anni ho attraversato la Svizzera, sono stato nei Balcani, in Russia, ho navigato fino in Terra Santa e attraversato le colonie d’Arabia, l’Eritrea, mi sono spinto fino alle porte del Paradiso e visto coi miei occhi la bocca dell’inferno, come la chiamano gli etiopi. Tanti compagni morti fra le mie braccia, sono un uomo libero ma non vivo lieto. Quante volte in sogno mi tornano quei volti inespressivi, quegli occhi incavati: darei tutto quel che non ho, se ai compagni perduti fosse consentito di tornare a vivere. Più mi duole il ricordo dei nostri disertori, quelli che dispersi nel giorno del massacro han camminato verso sud per unirsi alla resistenza: non so se sian vivi, ma certamente li piangeranno i familiari a casa”. Sentendo queste parole Ermete si commosse e per non mostrare le sue lacrime rivolse altrove lo sguardo. Da questo l’avvocato Igor Potier comprese che quell’uomo doveva condividere lo stesso stato d’animo, forse aveva similmente perso qualcuno a lui caro.

 

Spartaco Musolesi

In quel momento s’unì alla compagnia la serva, occupando una sedia rimasta vuota riempì i bicchieri, afferrò un canestro pieno di castagne e iniziò con un coltello a inciderne la buccia. “Non vorrei sbagliarmi, ma giurerei d’aver letto nei vostri occhi un dolore profondo. Voi mi ricordate una persona che è stata qui. Un ragazzo italiano”. L’avvocato osservò con più attenzione l’anziano forestiero e confermò la sua impressione: “E’ vero, somigliate a un giovanotto che venne da me un paio d’anni fa, lo ricordo bene per la singolarità della sua storia. Durante uno sciopero in cui le guardie avevano sparato ad altezza d’uomo, era stato ferito al torace ma riuscì a nascondersi e portare in salvo alcuni compagni, insieme ai quali si rifugiò nello scantinato di un’osteria. Col favore delle tenebre uscirono allo scoperto e tentarono di abbandonare la città, ma vi furono scontri armati durante i quali persero la vita una ventina di carabinieri. Debole per le ferite che sanguinavano ancora, si mise in cammino attraverso i monti e raggiunse a piedi il confine francese attraversando le Alpi, su cui imperversava da giorni una tormenta di neve”. Sentendo queste parole, Ermete Musolesi abbassò lo sguardo: “Temo stiate parlando proprio del mio Spartaco, le circostanze in cui lo vidi per l’ultima volta non si discostano da quelle che avete descritto; mi risulta sia dovuto restare via dall’Italia per qualche tempo, un bel giorno ricevetti un telegramma da Massawa, nel quale mi comunicò l’avvenuto arruolamento nella campagna d’Africa. Pensai lo avessero arrestato e ricattato, obbligandolo a partire”. La ragazza ascoltò con attenzione, poi mormorò: “Non l’ha costretto nessuno a farlo, eravamo d’accordo. Una colonna di compagni doveva avvicinarlo durante la marcia verso Adua per aiutarlo a scappare e unirsi alle milizie popolari, ma non potevamo immaginare che l’esercito avesse le mappe mal disegnate: sbagliarono strada, si ritrovarono dispersi fra le montagne e il resto lo sapete. Spartaco me lo ricordo bene, se è vostro figlio dovreste esserne fiero. Aveva il contatto con un francese ad Harar, altro non so dirvi perché dopo la carneficina ogni comunicazione s’è interrotta”.

 

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L’avvocato domandò allora: “Ditemi onestamente, perché siete qui e cosa vi aspettate da me? Ermete allora trasse un lungo sospiro e rispose: “Sto cercando notizie di mio figlio. Il sogno del socialismo borghese in Italia s’è infranto, gente vile e malvagia ingombra il Parlamento consumando le risorse del paese, insudiciando la bandiera per cui tanti anni fa ho combattuto. Ora non desidero che ritrovare il mio Spartaco, se ancora è vivo da qualche parte”. Igor Potier aggrottò la fronte: “Conosco le miserie della politica italiana, quei parassiti che profanano il letto della loro stessa madre son come i pulcini che una gallina abbia condotto nella tana della volpe, prima o poi la belva si desterà dal sonno e allora non avranno scampo. Quanto al ragazzo, posso raccontarti quel che ho saputo da un marinaio che incontrai qualche tempo fa durante un breve soggiorno a Porto Ferraio. S’era trovato s’una nave italiana a importare spezie dallo Yemen, erano fermi sul Mar Rosso da una ventina di giorni, le navi trattenute in porto per ordine della capitaneria, aspettavano invano; anche lui cercava notizie dei compagni disertori. Così avvenne che recandosi in un lupanare del posto, la sua intrattenitrice gli segnalasse un contrabbandiere di Asmara informato sui fatti delle regioni più a sud. Gli insegnò come avvicinarlo.

(Continua)

Odissea in Etiopia, episodio IX

Leoni da guerra

 


 

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