L’ospedale fantasma. Prologo. Romanzo di fantascienza. Cyberpunk italiano.

Illustrazione ospedale Loiano. Thriller italiano, libro eBook.
Vignetta satirica dedicata all’ospedale di Loiano (Bologna), volutamente deformato e invecchiato. Il manicomio criminale “Alderico Barbacani”, un triciclo per ambulanza. Non vogliamo che diventi così.

Federico Berti

L’ospedale
fantasma

ROMANZO DI
FANTASCIENZA

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PROLOGO

A vederla da qui sembra una gigantesca pentola di panna montata, vien voglia di mangiarsela questa valle affogandovi dentro come un cane col muso nella ciotola. Pensare che son solo nuvole basse. Paese arroccato sul nulla, un centro disabitato in cui l’aria s’infila sotto i piedi sollevando il corpo dei residenti più in alto di quanto loro stessi vorrebbero, talvolta si ha la sensazione di vagare sperduti nel castello del mago Atlante, con le sue stanze piene d’illusioni ora benevole e carezzevoli, ora tremende e vendicatrici. Sospiro innanzi a una vetrata sporca da cui il vento s’infila urlando, penso alla fatalità che m’ha scaraventato qui dentro. Ma andiamo con ordine, il luogo in cui mi trovo merita considerazione.

L’OSPEDALE DI COMUNITA’

E’ stato per cent’anni un glorioso ospedale. Quando il marchese delle Fontanelle Alderico Barbacani si rese conto che nella tomba l’avrebbero infilato ignudo come un lombrico, pensò vomitando bile e rotolandosi nel capezzale che poteva se non altro andarsene con dignità: non appena sentì che il fiato gli sarebbe venuto a mancare mandò a chiamare prima il prete, poi il notaio.

Lasciò quindi le sue sostanze a una fondazione religiosa per l’istituzione d’un sanatorio, luogo di cura per poveri e infermi ospitato nei locali d’un convento; non durò a lungo, sette anni più tardi la storia fece il suo corso e l’Unità d’Italia calò come una ghigliottina sul capitolato del clero, si pervenne allora a un’istituto laico pur con l’apporto delle suore che oltre a soccorrere gli ammalati allevavano una temibile armata di gatti per scongiurare la minaccia dei roditori.

Fu solo mezzo secolo più tardi che l’opera venne sganciata dal convento e nazionalizzata costruendo il palazzo in cui mi trovo adesso, grazie alle rendite dell’ormai defunto mecenate si acquistarono attrezzature d’avanguardia, venne realizzato un collegamento all’acquedotto pubblico, alla rete elettrica e il riscaldamento a caloriferi che allora non potevano permettersi in molti. Intere genealogie di montanari hanno attraversato queste pareti.

Venne poi la modernità portandovi sofisticate apparecchiature, per un po’ s’ebbe l’illusione che il progresso avrebbe allungato la vita umana fino all’età dei giganti. Non durò a lungo nemmeno quello, neanche mezzo secolo più tardi la nazione prese a sfaldarsi come un castello di sabbia, il sistema sanitario nazionale finì col decomporsi come aveva fatto molto prima il cadavere del vecchio Barbacani. Al quale non restava che rivoltarsi nella tomba, frantumandosi le ossa polverizzate da un secolo e mezzo di decadenza civile.


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LA COLONIA PENALE SANITARIA

Provo a radermi in un lavandino lercio di muffa scrutando il mio volto attraverso un labirinto di aloni sullo specchio incrinato. Fa freddo. Non è più un ospedale il Barbacani di Lusiano, si direbbe piuttosto un manicomio criminale; vi tengono dimora malviventi indagati in custodia cautelare o condannati a pene di second’ordine, qualche assegno falso, ladruncoli da quattro soldi, teppisti di periferia, dipendenze varie, malati di mente, vagabondi e disperati senza fissa dimora convivono tra queste sudicie mura con la povera gente che non può permettersi una clinica privata.

E’ un lazzaretto fantasma, dove il personale medico s’avventura malvolentieri. Di tanto in tanto avverto un suono metallico alle mie spalle, una voce inespressiva recita il suo formulario da burocrate senz’anima. “Ricordati… Di prendere… Le medicine”. E’ un piccolo automa progettato dall’Istituto di Domotica alla Normale di Pisa per l’assistenza agli infermi, viene a ricordarmi delle pillole; è armato, meglio non contrariarlo.

L’UOMO E’ ANTIQUATO

Siamo soli qui dentro, abbandonati a noi stessi. Una volta alla settimana ignoti fornitori vengono a scaricare nell’atrio l’indispensabile alla sopravvivenza, nessuno degli ospiti l’ha mai visti negli occhi, sono come la fatina dei denti. Quelli tra noi in condizioni di relativa autosufficienza accudiscono i più malconci osservando turni in cucina, corvée alle pulizie, nel magazzino. L’assistente meccanico prende nota dei nostri valori, procura le diagnosi da inviare a una schiera d’imbecilli che sulla base delle loro annotazioni prescrivono farmaci osservando non so che normative.

Niente di personale. L’ipotesi della fuga non sfiora alcuno dei ricoverati, sebbene in verità le porte siano aperte non v’è allarme né sentinella a sorvegliare l’uscio, ma un sistema di telecamere a circuito chiuso controllate da una rete di satelliti al sicuro in chissà quale remota orbita nel firmamento, che giorno e notte inquadrano a telecamera fissa ogni palmo dell’edificio; ogni istante della nostra esistenza viene registrato, catalogato, in novanta secondi il servizio d’ordine può circondare la villa con un esercito di 1200 uomini, cani molecolari, elicotteri e artiglieri armati fino ai denti.

Sono consentite le visite dei parenti, per quanto si verifichino solo in rare occasioni. Nella colonia sanitaria Alberico Barbacani non esiste il tempo, passato e futuro dissolvono in un eterno presente e lo spazio è disintegrato in un vago nulla del quale non giunge notizia fuori da queste mura. Tale il risultato della pubblica indolenza, vista da qui la realtà non esiste; ma nel parlarvi del fabbricato in cui da qualche giorno risiedo ho dimenticato di spiegare il vero motivo del mio internamento, è tema delicato del quale intendo parlarvi quanto prima. (Continua)

Laureato al Dams di Bologna con una tesi sulla narrazione, Federico Berti è dal 1994 cantastorie, artista di strada, uomo orchestra, romanziere, scrive libri e incide musica. “L’Ospedale Fantasma” è disponibile per la lettura in digitiale, EPUB |PDF. Scarica il romanzo

L’Ospedale Fantasma
La realtà non esiste

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