L’uomo delle stelle. Memorie d’un saltimbanco. Cap.28


Foto, repertorio. Il cinematografo nelle colonie dell’impero.

L’uomo delle Stelle

Memorie d’un saltimbanco, Cap. 28.

Romanzo di Federico Berti

Siam partiti in sette, gran bel varietà. Caronte era immatricolato per sei ma la contorsionista in caso di bisogno spariva dentro una valigia te la portavi dietro pure al bar, 48 chili per un metro e cinquanta. Cavo d’acciaio, trapezio, niente animali avevan detto così, non vogliamo pulci, topi, galline: non sia mai un allarme aereo, un coprifuoco, carri armati ruspe bombe umane insomma, dove passa la guerra più snello vai più è probabile tornare a casa intero. Uno della carovana s’era visto ammazzare la madre in Serbia arrivò in Italia da rifugiato, viveva in un forte occupato, quella volta dei carri armati a Betlemme c’era anche lui insieme agli altri del Social Forum: non si mosse dalla strada, suonava il clarinetto mentre loro gli passavano accanto. Li guardava negli occhi. In Marocco, Libia, Tunisia, avevamo la mappa e un contatto sul posto, altro che documentari. Dal finestrino si vedevano gli elefanti indiani, le scimmie malesi, in lontananza pure le famose gazzelle che s’alzano presto al mattino.

Montavamo un circo senza tendone, ognuno il suo numero davanti un centinaio di persone all’inizio perplesse, poi divertite. Venivano a trovarti nell’accampamento, volevano imparare e noi gli s’insegnava, ne abbiam portati a spasso per le piazze di almeno quattro continenti dalle favelas del Brasile ai mercati dell’Arabia Saudita, dove se ti casca una torcia in testa alla persona sbagliata finisci poco bene; non si parlava la loro lingua, ma avevamo un messaggio di benvenuto con traduzione alla buona. Tornavamo a casa convinti d’aver fatto del bene. Forse lo avevamo fatto davvero, ma il più delle volte non era così semplice capire quali erano davvero le forze in campo.

Un bel giorno mentre uno di noi è impegnato con una decina di palle colorate e una folla entusiasta, dal pubblico vedo scattare all’improvviso un ragazzino, avrà forse dodici anni, piroetta all’indietro con una lunga serie di salti mortali segna tutt’intorno l’arena improvvisata, passa davanti al giocoliere, gli si ferma accanto. E’ armato ma non sembra avere intenzioni aggressive tutt’altro, sfodera una lunga spada ricurva, la manipola con una rapidità impressionante, le capriole in aria sembra quasi un serpente che gli danza intorno al naso, agli occhi, alla gola, l’ultimo lancio è più in alto degli altri e pare voler cadere sopra la testa del nostro compagno, che rimane per qualche secondo incantato a fissarla. L’invito è chiaro, afferrare l’arma al volo dall’impugnatura; la tensione è tale che sul più bello il giocoliere si scansa. Quell’inaspettato acrobata aspetta che la folla sia sciolta per avvicinarmi di persona, senza dire una parola. Vuole che lo segua, ha da mostrarmi qualcosa.

Nella baracca in cui vive s’è costruito un generatore di corrente con un pannello solare abbandonato da non so quale esercito, sembra intendersi di meccanica, idraulica e un sacco di altre cose. Al suo impianto rudimentale è riuscito a collegare un proiettore a bobine, di quelli che usava l’esercito fascista per mostrare i film della propaganda nelle colonie. E’ proprio un proiettore dell’esercito italiano, c’è anche l’anno di fabbrica sopra. Intrattenimento figurativo, lo chiamavano, per gli italiani e per i villaggi dell’entroterra. Stende alla parete un lenzuolo (non proprio bianco), monta una pellicola, ha inizio lo spettacolo; deve aver ricevuto quel materiale forse da qualche lontano parente, o un anziano del suo villaggio. Nel film si vedono un pagliaccio, un fachiro, dei suonatori e un cantastorie che presenta. Sono italiani come noi, c’è anche il numero della contorsionista nella valigia. Roba degli anni ’30. Li mandavano dal cuore dell’Impero a esportare la cultura italiana, erano strumenti d’inculturazione e propaganda nei luoghi della barbarie, mascherata da evasione e tempo libero. Finito il documentario, il ragazzo mi sorride; non so da chi abbia imparato a fare quel che fa, ma non sembra essere il suo mestiere. Torno all’accampamento, ripartiamo il mattino dopo. Non dico niente ai miei compagni, ma si fa strada in me un’improvvisa nostalgia di casa.


One man band video


Gerardo Matos Rodríguez. La Cumparsita. Tango. Monghidoro, 2024
Anonimo XIX secolo, Gli scariolanti, Cà di Guglielmo Luglio 2023
Federico Berti e Fabio Galliani, Tacabanda e Ocarina, Giugno 2023
Cherubini-Fragna, Signora Illusione. Monghidoro, 2023
Filippini-Morbelli, Sulla Carrozzella. Loiano, 2022
Consuelo Velazquez, Besame Mucho. Rebecq, 2022
Federico Berti, Polka Sfregatette, Bazzano, 2023
Traditional, Morettina, Loiano, Bologna
Panzeri-Rastelli-Mascheroni, Papaveri e papere, Fidenza, 2019
Traditional, Il cacciator del bosco, Niksic, Montenegro
Nisa-Redi-Leonardi, Carovaniere, Official video, 2022
Traditional, Manfrina e Morettina, Bologna, 2017
Traditional, Polka montanara, Monghidoro, 2019
Bixio-Cherubini, Mazurka della nonna, Lastra a Signa, 2018
Traditional, Giga, Monghidoro, 2018
Eldo Di Lazzaro Reginella campagnola, Budrio, 2017
Bixio-Cherubini, La mia canzone al vento, Lognola, 2021
Traditional, La Cionfa, Monghidoro, 2021
Arlen-Harburg, Somewhere over the rainbow Monghidoro, 2021
Gershwin-Du Bose, Summertime, Corinaldo 2019
Traditional, Galoppa, Parade. Corinaldo, 2019
Casiroli-Rastelli, Evviva la Torre di Pisa, Bologna 2018
Frati-Raimondo, Piemontesina bella, Bagnarola di Budrio 2018
Bixio-Cherubini, Lucciole vagabonde, Bologna 2018
Federico Berti, La Torre del Serpe, Otranto 2018
Piazza Marino, Il ragazzo con tre fidanzate, Bazzano 2023
Simons-Marks, All of me, Modena 2022

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