La pineta brucia. Romanzo, fantascienza. L’ospedale fantasma n.11

Scrittori italiani. Libro, romanzo steampunk.

La pineta
brucia

L’ospedale fantasma n.11

Romanzo di Federico Berti
FANTASCIENZA ITALIANA

UN LETTO DI RAGNATELE

Ho sempre avuto un problema coi lacci delle scarpe. Fin da bambino è stato così, tendono ad allentarsi e finisco per inciamparci sopra. Non avrei mai pensato che questa leggerezza potesse un giorno salvarmi la vita, l’ho capito nel ritrovarmi ginocchia in terra schiena curva e capo chino, a un palmo dal mio deretano un fracasso di mobilia sul pavimento sconnesso. Altro che squilibrata,Ecclesiarda ha legato la maniglia della porta a una grossa mensola sopra l’architrave in modo tale che non conoscendo il disinnesco ti venga a scaricare in testa un soppalco pieno di pesanti vocabolari; girando un poco la maniglia in senso antiorario si può evitare il crollo ma devi saperlo, o non c’è modo per scansare il pericolo; a meno di non inciampare nei lacci delle scarpe, naturalmente. E’ stata la mia fortuna, potevo rimanerci sotto. Al suo rientro in camera noterà che qualcuno le ha fatto visita suo malgrado, troverà vantaggioso mantenere discrezione poiché sa bene che è proibito mettere il catenaccio alle porte dell’ospedale, la direzione tollera malvolentieri un torto e solo quando porta beneficio alla vita in struttura. Nel pensare queste cose mi sento addosso l’occhio delle telecamere, se la mia presenza in mansarda fosse avvertita come una minaccia quei badanti in fibra di carbonio m’avrebbero già punzecchiato a dovere.

Ho sentito parlare a lungo dell’ultimo piano, il senso comune lo descrive come un groviglio di ragnatele coltivate e selezionate ad arte dalla regina degli insetti, dicono tagli personalmente i fili che non le piacciono selezionando solo quelli che producono un effetto vagamente estetico, creando in questo modo sculture di seta resistente e appiccicosa. Il letto è insomma una sorta di rifugio sugli alberi che dondola al passaggio delle bestioline come una barca al rullar dell’onde. Lei ricorda sempre la configurazione della propria scultura in costante evoluzione, all’interno della quale si nascondono creature aggressive e alquanto velenose. Sciocchezze, voci prive di fondamento quelle che si raccontano intorno alla cella dell’imperatrice. Il solo ragno qui dentro è una gigantesca Theraphosa Blondi, specie di tarantola che può raggiungere dimensioni notevoli, ma non è in condizione di nuocere: nel suo corpo secco e inerte ha ricavato un lampadario, tutto qui. Il sottotetto è al contrario un esempio d’ordine e pulizia. Nel punto più alto ha sistemato un letto a baldacchino in stile austroungarico, il gran baule che impiega come scrittoio sul quale tiene in bella mostra un registro con la logistica della residenza giudiziaria. Intorno alle pareti, l’ormai più che leggendario archivio. Quello esiste davvero, organizzato quasi meglio d’una biblioteca universitaria: schedario a cassetti estraibili, fascicoli col numero di collocazione riportato a pennarello, ripartizione secondo il periodo precedente e quello successivo alla condanna. Fa davvero impressione. Si possono ricercare i documenti per data, ma anche per azienda o nome del referente, chi ha finanziato il progetto. Conserva persino gli scontrini e le fatture che usa come pezze d’appoggio per far quadrare i suoi bilanci. Un prodigio di finanza creativa.

LA PINETA BRUCIA

Non ho tempo da perdere, mi servono dati concreti. Dovrò recuperarli prima che la rivolta al piano di sotto venga sedata, l’ordine ristabilito, i moribondi rianimati. Nei registri non si trovano affatto nomi di fantasia ma persone reali, nessun malato di mente può arrivare a tanto: si direbbe che la donna si finga schizofrenica per non destare sospetti, a giudicare dal pregio dell’arredamento, la qualità dei tessuti e il finimento della mobilia, immagino che la finzione le procuri un guadagno. Impossibile pensare che nessuno se ne sia accorto, chi gestisce questa residenza giudiziaria conosce perfettamente ogni ospite, non si può mentire all’occhio delle telecamere. Ecclesiarda Scalzacani non è solo una detenuta, svolge funzioni di caporalato con portafoglio. Sa tutto di tutti, ha collaborato con assessori, sindaci, onorevoli, ricoprendo incarichi sempre diversi: architetto, ingegnere, avvocato, medico, secondo la convenienza badante, guida turistica, insegnante di scuola. Nessun titolo, nessun’esperienza pregressa, ogni volta la straordinaria capacità di reinventarsi in veste completamente nuova. Insospettabile.

Il baccano al piano di sotto non accenna a diminuire. Consulto in fretta lo schedario nominale dei referenti in cerca di notizie sull’architetto ucciso qualche tempo fa in biblioteca al Monte dei Goti, a nome di Lucrezio Coppola risultano ben dodici schede relative ad altrettanti fascicoli; ne recupero una decina ma non tutte le voci sembrano disponibili, parte del repertorio si riferisce a fondi che non riesco a reperire. Sigle incomprensibili come Mrah, Naru, Racso, abbinate a numeri compresi fra uno e cinquecento secondo un ordine apparentemente casuale; non ho tempo d’approfondire, la confusione sembra essere aumentata e come se non bastasse dall’oblò nella parete vedo entrare del fumo. Uno sguardo all’esterno, sta bruciando la pineta intorno all’ospedale: fiamme spaventose danzano come spettri con le braccia levate verso il cielo, l’incendio si direbbe partito da zone scarsamente accessibili e non frequentate dai turisti, sentieri morti che non vengono puliti nemmeno dai volontari del circolo alpini. Da qui riesco a vedere un canadair che annaspa nell’aria sotto il peso dell’acqua raccolta al lago della Foglia Tonda.

E’ un mezzo privato, costa non meno di quindicimila euro all’ora prenderne uno a noleggio. Affari d’oro per la Cooperativa di Fiammetta Linguatorta, scommetto che se cercassi negli annali dell’ Ecclesiarda troverei anche notizie del modo in cui li appaltano. Mentre penso queste cose raccogliendo in fretta i documenti relativi all’architetto per potermeli studiare con più calma, un particolare attira la mia attenzione: è una mano che spunta dietro il davanzale, s’afferra allo stipite della finestra, cerca un punto stabile per sostenere il corpo d’un uomo appeso con le gambe nel vuoto al terzo piano dell’ospedale. Non riesco a vederlo per intero. A quanto pare non sono il solo ad aver approfittato della confusione per accedere alla mansarda, il primo istinto sarebbe sparire prima che l’intruso possa riconoscermi, poi però un pensiero si fa strada in me. Chiunque sia il portatore di quella mano, voglio conoscerlo. Mi nascondo dietro la tenda del baldacchino.  (Continua)

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