La natura come rivelazione in Maupassant

Guy de Maupassant, Chiaro di luna (1882). Voce narrante Federico Berti

Chiaro di luna è uno dei tanti racconti in cui Maupassant affronta il tema della religione e della sensualità, offrendo uno spunto straordinario per la meditazione su temi filosofici e letterari di grande respiro. Un sacerdote rigido, moralista, profondamente ed esplicitamente misogino, che considera l’amor terreno come una debolezza o una colpa da attribuirsi in modo particolare alle donne, scopre che la sua unica nipote si incontra di notte coll’innamorato in campagna, decide allora di sorprenderla per impedirle di perseverare nel peccato. Tuttavia, nel trovarsi a sua volta immerso nella bellezza della notte — il chiaro di luna, i profumi, i suoni della natura — viene colto da un’estasi visionaria, una rivelazione che lo porta a riconsiderare il suo j’accuse iniziale. Sembra quasi anticipare, con questa sua visione dell’amore, quei versi che Patty Smith canterà settant’anni dopo: “Because the night belongs to lovers, because the night belong to us”.

Vorrei qui mettere in evidenza la profondità filosofica del dibattito che questo racconto innesca: la natura non è solo un’ambientazione, uno scenario passivo, ma agisce come un personaggio attivo, è il motore dell’epifania finale nel protagonista. Maupassant, in linea con la sensibilità romantica e post-romantica, mostra come la natura sia portatrice di un’armonia universale, che in qualche modo implica anche un messaggio spirituale, quasi panteistico: l’esperienza estetica dell’uomo davanti a un semplice chiaro di luna, diventa esperienza morale e spirituale nel religioso che si converte all’amore.

La metamorfosi del sacerdote avviene attraverso una vera e propria iniziazione sensoriale. Maupassant costruisce magistralmente questa trasformazione attraverso una progressione di immagini che coinvolgono tutti i sensi: la vista della luna che filtra tra le foglie, il profumo intenso dei fiori notturni, il canto degli usignoli, la brezza tiepida sulla pelle. È come se la natura stessa si facesse maestra d’amore, insegnando al prete una teologia diversa da quella dei libri che ha letto fino a quel momento.

Il racconto è portatore dunque di una critica sottile, ma potente, al rigorismo ascetico del più rigido misticismo e alla repressione dei sentimenti. Il prete rappresenta le contraddizioni interne a un dogma che condanna il corpo e il piacere, tema centrale nel pensiero ottocentesco: si pensi a Feuerbach, che vede nella religione il riflesso dei desideri umani, o a Nietzsche, che denuncia la morale come negazione della vita.

Particolarmente interessante è il modo in cui Maupassant mette in scena il conflitto tra due concezioni del sacro: quella istituzionale, fondata sulla negazione e sul controllo, e quella naturale, che riconosce la sacralità intrinseca della vita e dell’amore. Il prete, simbolo dell’autorità religiosa tradizionale, viene letteralmente travolto dalla bellezza del mondo, in un rovesciamento ironico dei ruoli che vede la natura farsi missionaria dell’uomo di chiesa.

Maupassant, con la sua scrittura limpida, così empirica, sinestesica, sensuale, sembra suggerire che l’amore — anche quello fisico — debba rivendicare una propria sacralità inscritta nell’ordine naturale delle cose e, quindi, anche in quello del cielo. La giovane donna non viene mai colpevolizzata, anzi, la sua vitalità e il suo desiderio sono visti come perfettamente naturali e legittimi, bersaglio della critica è piuttosto il moralismo maschile e clericale, che pretende di controllare la vita e i sentimenti altrui.

È significativo che l’autore scelga di non dare voce direttamente alla nipote: ella rimane una presenza quasi mitica, vista attraverso gli occhi del zio prima e durante la sua trasformazione. Questo espediente narrativo permette di concentrare l’attenzione sul processo di conversione del sacerdote, ma al contempo la ragazza diventa simbolo di una femminilità libera e spontanea che si oppone silenziosamente al tentativo di controllo maschile.

In cinque pagine di racconto, l’autore scomoda temi che rimandano alla sacralità dell’eros nel platonismo, al culto panteistico della gioia in Spinoza, alla repressione freudiana dei desideri che genera nevrosi, non santità. Temi ancora una volta di grande modernità. Il racconto si inserisce in una tradizione letteraria che va dal Cantico dei Cantici fino ai romantici, passando per la mistica medievale: quella tradizione che vede nell’amore umano un riflesso dell’amore divino, anziché la sua negazione. Maupassant, tuttavia, secolarizza questa visione, liberandola dalle sovrastrutture teologiche e restituendola alla sua dimensione più immediata e carnale. Una lezione di umanesimo che, a distanza di più di un secolo, conserva intatta la sua forza rivoluzionaria.

Il racconto è portatore dunque di una critica sottile, ma potente, al rigorismo ascetico del più rigido misticismo e alla repressione dei sentimenti. Il prete rappresenta le contraddizioni interne a un dogma che condanna il corpo e il piacere, tema centrale nel pensiero ottocentesco: si pensi a Feuerbach, che vede nella religione il riflesso dei desideri umani, o a Nietzsche, che denuncia la morale come negazione della vita.

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Maupassant, con la sua scrittura limpida, così empirica, sinestesica, sensuale, sembra suggerire che l’amore — anche quello fisico — debba rivendicare una propria sacralità inscritta nell’ordine naturale delle cose e, quindi, anche in quello del cielo. La giovane donna non viene mai colpevolizzata, anzi, la sua vitalità e il suo desiderio sono visti come perfettamente naturali e legittimi, bersaglio della critica è piuttosto il moralismo maschile e clericale, che pretende di controllare la vita e i sentimenti altrui.

È significativo che l’autore scelga di non dare voce direttamente alla nipote: ella rimane una presenza quasi mitica, vista attraverso gli occhi del zio prima e durante la sua trasformazione. Questo espediente narrativo permette di concentrare l’attenzione sul processo di conversione del sacerdote, ma al contempo la ragazza diventa simbolo di una femminilità libera e spontanea che si oppone silenziosamente al tentativo di controllo maschile.

In cinque pagine di racconto, l’autore scomoda temi che rimandano alla sacralità dell’eros nel platonismo, al culto panteistico della gioia in Spinoza, alla repressione freudiana dei desideri che genera nevrosi, non santità. Temi ancora una volta di grande modernità. Il racconto si inserisce in una tradizione letteraria che va dal Cantico dei Cantici fino ai romantici, passando per la mistica medievale: quella tradizione che vede nell’amore umano un riflesso dell’amore divino, anziché la sua negazione. Maupassant, tuttavia, secolarizza questa visione, liberandola dalle sovrastrutture teologiche e restituendola alla sua dimensione più immediata e carnale. Una lezione di umanesimo che, a distanza di più di un secolo, conserva intatta la sua forza rivoluzionaria.


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