Re Mancorta viene a sapere della tragica morte di Ancuro, il suo unico figlio, che lui stesso aveva posto sul trono di Sardis per potersi meglio dedicare alla cerca dell’oro nelle acque del fiume Pattolo. Scarica qui il Wallpaper HD 5000×8000 px
La Morte del Figlio
La Tartufa di Venere New Epic Poetry Libro I, Ep.VII
Re Mancorta viene a sapere della tragica morte di Ancuro, il suo unico figlio, che lui stesso aveva posto sul trono di Sardis per potersi meglio dedicare alla cerca dell’oro nelle acque del fiume Pattolo.
LVII. “Ormai lambiva l’orlo del confine nel luogo in cui si trovano i forzieri, sembrava tutto prossimo alla fine ma lui, pensava solo ai suoi averi. Alla disperazione essendo incline gli vennero i più torbidi pensieri che nell’idea di perdere il suo censo la vita diventò priva di senso”.
LVIII. “Così il dolore fu talmente intenso che sopra ad una torre s’è portato, al proprio istinto volle dare assenso vestito d’un candore immacolato. Bruciò dentro una coppa dell’incenso e in fondo al precipizio s’è buttato allora s’avverò la previsione: fu sciolta infine la maledizione…”
LIX. Il re disse piangendo: “Dannazione! il tuo racconto non dev’esser vero sei solo un miserabile buffone un vile traditore dell’impero!”. ma Gorgia a lui: “Tornate alla ragione venite a constatar se son sincero è inutile negare l’evidenza, dei Numi non sfidate la pazienza”.
LX. Con molto affettuosa confidenza andò per consolare il suo sovrano nella sventura della Provvidenza gli accarezzò una spalla con la mano. “Coraggio, dimostrate la potenza se siete un dignitoso essere umano: nella città di Sardi, alla loggetta la vostra moglie in lacrime v’aspetta”.
LXI. Insieme ridiscesero la vetta lui si stracciò le vesti per la pena frattanto Marsia, dalla sua seggetta restò senza parole a quella scena. Guardò la bella con la fronte stretta: “L’ostinazione sua capisco appena, privilegiare il vino al tuo bel viso, la polvere dell’oro al tuo sorriso”.
LXII. “Mi suona come un insidioso avviso è in corso uno sviluppo a quanto pare l’adunator dei nembi in cielo assiso un qualche segno lo dovrà pur dare!”. Rispose lei: “Ognuno l’ha deriso ma non è lui soltanto a folleggiare, ha intorno gente avara e senza cuore pensano più all’onore che all’amore”.
LXIII. Ribatte il fauno: “Ho un pessimo sentore qua si diventa schiavi tutti quanti schiavo il padrone, schiavo il servitore per via di quei bagliori luccicanti”. E lei a lui: “Mio caro bevitore un torbido avvenire abbiam davanti, bisogna dirottare il suo cammino per scongiurare un simile destino”.
LXIV. La ninfa aveva al collo un gioiellino una collana piena di roselle d’avorio, lapislazzuli e rubino coll’oricalco in forgia di lamelle. In fondo era un pendaglio in oro fino che si adagiava sopra le mammelle quel ciondolo di molto sfolgorava e alla tartufa un poco assomigliava.
LXV. Lei l’afferrò con l’occhio che brillava se lo sfilò dal collo per mostrarlo al fauno, che stupito la guardava e con un cenno volle rifiutarlo. “E’ cosa adatta ad una mente ignava lo sai che mi disgusta di toccarlo: non amo certi inutili gingilli a possederli non s’è mai tranquilli”.
LXVI Ma lei: “Riponi pure i tuoi vessilli è una collana dal potente incanto che dell’amor fa correre i zampilli e dell’onor dimenticare il vanto. Può dissipar degli uomini gli assilli, fa innamorar chiunque sieda accanto a chi la porta in collo notte o giorno, il desiderio le ribolle intorno”.
LXVII. “Di Venere fu un tempo il seno adorno da questo bel gioiello lavorato che il vecchio Festo nel ronzarle attorno con sentimento puro le ha donato. Di Greci e di Troian causò lo scorno da tante donne antiche fu portato poi venne a me una notte fonda e scura me lo affidò perché ne avessi cura”.
LXVIII. Rispose lui: “E’ cosa ormai sicura, hai stretto il re nell’amoroso abbraccio e in lui s’è ridestata la natura, l’hai raffinato dentro il tuo setaccio. Quel cinto che tu porti mi procura un certo qual prurito, non lo taccio tant’è grazioso il tuo bel figurino vorrei che mi venisti più vicino!”.
LXIX. Così fra le montagne in suol turchino il satiro inseguiva la sua fata lo sguardo vagamente malandrino col pelo dritto e l’aria spensierata. Così danzando allegri intorno al pino la gioia dell’amor fu ritrovata, ma come andò a finir la giravolta bisogna raccontarlo un’altra volta.