Artista di strada aggredito a Leeds

Illustration Artwork by Federico Berti. Created with Gimp/Qwen

«La viralità del video ha oscurato la mia musica», dichiara Jason Allan dopo l’aggressione subita a Leeds, uno schiaffo da diciassette milioni di visualizzazioni su TikTok. Non è un caso isolato purtroppo. Allan ha comunicato alla sua platea social che non farà più strada, ma non solo per l’umiliazione ricevuta. «Il viaggio di sette ore non vale più la pena», ha affermato, l’attività sta diventando inutilmente rischiosa. Questo scenario si aggrava considerando il crollo verticale delle donazioni, ridotte di oltre un terzo dal 2019, per non parlare della multa di 11.000 sterline (quasi 13.000 euro!) per la vendita dei suoi dischi e la distribuzione di cartoline con QR-code per le donazioni, fatte passare per “biglietti” dall’amministrazione di Shrewsbury. Il Comune gli ha inviato apposta falsi acquirenti per incastrarlo, episodio che si inserisce in una serie di proteste da parte della cittadinanza, che hanno portato l’amministrazione a una surreale crociata contro il busking. È davvero possibile credere che tutto questo sia accaduto improvvisamente, dalla sera alla mattina? Purtroppo non è così, lo sappiamo: nel libro Gli artisti di strada non sono mendicanti, ho raccolto le testimonianze di una parabola discendente iniziata quindici anni fa, non dall’altro ieri.

Una parte di responsabilità in questa situazione l’abbiamo anche noi e deriva da una specie di effetto Dunning-Kruger, che porta molti compagni di strada a sovrastimare le proprie capacità, compensando la mancanza di preparazione con un aumento sconsiderato dei volumi. Questo fenomeno ha creato situazioni paradossali verificatesi a Roma, dove un chitarrista a Ponte Milvio eseguiva la stessa canzone a volumi altissimi per diverse ore consecutive, o a Londra dove Global Radio ha intentato causa al Comune ottenendo il riconoscimento del danno da “tortura psicologica” causato dagli artisti di strada che nella piazza sottostante alzavano i volumi a livelli insostenibili per l’intero quartiere.

E’ stato in conseguenza di questi comportamenti, che alcune città hanno adottato addirittura licenze selettive e audizioni per esibirsi per strada, una misura illiberale che quando venne proposta da Dario Fo al Campidoglio trent’anni fa suscitò indignazione fra gli artisti locali. Dove sarebbe allora la libertà di espressione? Eppur si muove diceva quello, pare che con quel sistema i reclami siano diminuiti e le donazioni siano tornate a crescere, ma a quale prezzo?

Heidelberg ha istituito un “busker passport”, dove gli artisti vengono valutati sia dal pubblico che dagli esperti attraverso un sistema di stelle che dovrebbe incentivare il miglioramento continuo, iniziativa che ricorda più Master Chef che lo spirito libero del busking. La gentrificazione della strada si rispecchia anche nella domesticazione dei murales “autorizzati” per abbellire i quartieri a uso e consumo della speculazione edilizia.

Jason Allan si è reso conto che la viralità dei suoi video gli aveva fatto perdere di vista il fatto che si trovasse lì per la gente, per fare musica, trasformandolo in un “influencer del conflitto”. L’aggressione che ha ricevuto è solo l’ultimo tassello che mancava alla ridicolizzazione di un’attività ridotta da gioco creativo a un’industria fiorente, condotta però nel segno della dequalificazione reciproca e della competizione tra artisti. Si è creata una viralizzazione dell’imperizia amplificata a 300 Watt dalla piazza, una sorta di karaoke permanente che definire arte, mi si perdoni (lo dico da busker mai redento), è imbarazzante.

Come dicono i compagni di Milano, e come ripeto da trent’anni, la strada non è un palcoscenico muto, ma un dialogo. La sopravvivenza del busking richiede tre rivoluzioni nell’autocoscienza dell’artista contemporaneo: prima di tutto dobbiamo smettere di usare il volume per mascherare l’impreparazione artistica, quel che non funziona a 50 Watt non funzionerà a 300, potrà solo impattare molto di più sull’ambiente. Si deve prendere atto che lo spazio pubblico è condiviso tra artisti, residenti, commercianti, turisti, ciascuno con legittime aspettative di vivibilità. Bisogna diversificare l’investimento sulle piazze, evitando di tornare nello stesso luogo prima che sia passato un arco di tempo tale da far sentire la nostra mancanza.

Un musicista di strada non ha bisogno di gridare, poiché il silenzio tra una nota e l’altra costituisce parte integrante della musica stessa. Questa consapevolezza del vuoto e del pieno, del suono e del silenzio, è la sola opportunità che abbiamo di riconquistare gli spazi urbani attraverso un’arte capace di porsi come espressione individuale e responsabilità collettiva. L’episodio di Leeds, al di là della sua brutalità, sembra voler dire che è arrivato il momento dell’autocoscienza, quel momento di cui si discute ormai da quindici anni, ovvero da quando è iniziata questa parabola discendente prodotta dalla riduzione del busking a una fabbrica del narcisismo.


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