Allan Poe e i beni archeologici

Ambientato nella Francia dell’Ottocento, “Il Barilotto di Amontillado”, pubblicato nel 1846 sul ‘Godey’s Lady’s Book’ lascia intravedere al lettore contemporaneo un interessante aspetto storico che cent’anni fa non poteva avere la stessa rilevanza di oggi, per il semplice fatto che le Sovrintendenze Archeologiche non erano state ancora formalmente istituite quando uscì il racconto: per quanto ne sappiamo infatti, se qui in Italia la prima fu creata nel 1875 e in Europa nei primi del Novecento, in America gli organi competenti in materia di beni culturali sono molto successivi.

Uno spunto di riflessione interessante questo, sulla percezione e sulla gestione del patrimonio culturale materiale e immateriale nelle politiche culturali degi stati nazionali in epoca romantica (e coloniale): la conservazione del passato era costantemente oggetto di saccheggio o mercantilismo da parte di privati collezionisti, appassionati o studiosi indipendenti, che operavano in un contesto di scarsa regolamentazione e controllo statale. Si vedano anche gli atteggiamenti predatorii dei vari eserciti, che in ritirata prendevano su quel che potevano, asportando interi obelischi, statue, monumenti, dipinti di inestimabile valore.

Questo scenario favoriva un rapporto strumentale e ambiguo con i siti di rilevanza storica, dove necropoli preistoriche, catacombe, cripte e rovine varie potevano essere utilizzati come cantine personali in cui tenere ad esempio il vino ad invecchiare, proprio come nel caso descritto da Poe. Insomma l’ambientazione del racconto, per quanto vivida, potente, visionaria e inesorabilmente gotica, non è tuttavia fantastica: la cantina sotterranea diventa il simbolo di un’epoca in cui il passato si considerava ancora un far west da rivendere al miglior offerente, dove il confine tra rispetto per la memoria storica e sfruttamento privato quasi non esisteva.

Anche oggi talvolta vengono fuori casi di questo tipo, privati che nascondono magari in cantina reperti d’interesse archeologico mai denunciati alla sovrintendenza, per timore di un esproprio edilizio, o come in ‘Roma’ di Federico Fellini la metropolitana che durante i lavori di costruzione si va a infilare in un sito archeologico tardo-romano, devastandolo.

Son cose che continuano a succedere, ma nell’Ottocento costituivano praticamente la regola. Certo, il racconto di Poe viene ricordato di solito per ben altro, ma questo piccolo dettaglio, che forse sfugge all’occhio superficiale, pone questioni molto interessanti sul rapporto fra storia, letteratura, immaginazione e realtà, valorizzando ulteriormente l’opera del grande autore americano.

Per il resto, l’atmosfera gotica e la profonda analisi psicologica, la vividezza dei dialoghi – compatibili con le sceneggiature del cinema contemporaneo – son quelli già messi in evidenza riflettendo sui precedenti racconti qui presi in esame: le ambientazioni dei racconti non sono esagerate come in altri autori (pensiamo anche solo al delirio incoerente e superstizioso di Lovecraft), ma del tutto calati nella società del periodo storico in cui li ambienta. Il fatto che verso la metà dell’Ottocento si iniziasse a manifestare una sensibilità istituzionale verso i beni culturali, in alcuni paesi europei, anche su impulso dello storicismo romantico, rende questa ambientazione ancor più suggestiva, perché conferma l’attenzione dell’autore verso temi sociali, culturali, politici, che precorrono il suo tempo.

Ancora una volta, Poe si comporta come un anticipatore. Peccato che questo aspetto della sua opera venga passato in secondo piano dalla critica letteraria, concentrata per lo più sulle questioni di stile, narrazione, o (sic!) una sommaria e discutibile psicoanalisi dell’autore, delle sue ossessioni, della sua tragica morte – tuttora avvolta nel mistero. Trovo più interessante lasciar parlare il testo, così come viene percepito da noi oggi, senza i pregiudizi sedimentatisi per il sensazionalismo o la mistificazione della critica pennivendola fra Ottocento e Novecento.

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