Caronte il nocchiero di latta. Memorie d’un saltimbanco

Federico Berti, Buskers memoir. Romanzo breve a episodi. Frammento I.

Federico Berti,
La follia è per i vivi

Memorie d’un saltimbanco
Romanzo breve

Caronte, il nocchiero di latta

Se non vieni da nessuna parte, puoi andare ovunque. Dev’esserci un equivoco pensavo,Steinbeck nei suoi romanzi parlava di vagabondi finiti per la strada col fiato sul collo, la miseria aveva ridotto intere famiglie a vivere nei carrozzoni del circo. Jack London e l’odissea degli Hobos, la chitarra di Woodie Guthrie, il chopper di Henry Fonda, le visioni di Terry Gilliam, se mi guardavo intorno quel mondo mi sembrava una finzione da salotto nazional-popolare per gente che doveva essersi dimenticata l’eskimo e la Lambretta in chissà quale spiaggia nudista radical chic, non ne restava che un’eco lontana amplificata dai tromboni del cinema e della televisione su cui dotti scellerati costruivano fantasiose teorie; non certo l’Italia degli anni ’90, quella dei giovani yuppies rampanti col nodo dell’impiccato alla gola in finissima seta, che muovevano capitali al telefono seduti in qualche sala da tè nel centro storico.

No, chi ha preso la strada in quegli anni non scappava dalla povertà e forse tutto sommato nemmeno dalla ricchezza, così mi ripetevo svuotando la mansarda e dando fuoco alle polveri, in poche ore un mondo in frantumi. Se non vieni da nessuna parte, puoi andare ovunque… Un futuro davanti e nessuna voglia di calarsi i pantaloni davanti al compromesso del liberismo selvaggio che andava per la maggiore. Dopo il 1989 tutto è cambiato, altro che Dio è morto. Se volevi campare di musica ti ritrovavi puntualmente infilato in una catena di montaggio che succhiava l’anima dal cervello, appena staccavano la spina tornavi a strisciare come un verme nei corridoi dell’Università rimpiangendo quegli esami che non avevi dato. Ne ho visti di compagni elevati a un ruolo difficile da mantenere, spremuti come limoni e poi lasciati cadere in terra a piangere urlare. L’arte come ricatto non m’interessava neanche un po’. In quegli anni i libri mi andavano stretti, più verità in cielo e in terra che nella loro filosofia. Quando l’ho visti per la prima volta quei vagabondi senza tetto né legge, mi sentivo come un  Faust nevrotico sorpreso al martedì grasso dalla parata dei carri allegorici. 

Non divagare, così pensavo scegliendo i libri di cui potevo fare a meno, selezionando quei pochi da tenere con me a bordo di un battello ubriaco da nove milioni di lire in contanti, i risparmi d’una stagione in sacco a pelo. Più quattro milioni da restituire in otto mesi. Inutile perdersi in vane astrazioni, ogni scelta ha il suo risvolto personale; così era per me, non credevo nella giostra del figliare e crepare. Caronte il nocchiero di latta m’aspettava in strada col motore acceso, salendo al posto di guida mi fu per la prima volta chiaro quel che tanti avevano scritto nelle riviste che sollecitavano la mia immaginazione all’università: le maschere sono fantasmi, si sa che i fantasmi sono morti e se sono morti, non sono pazzi. Finalmente una certezza l’avevo, che la follia è per i vivi!

Dove andare adesso? Chi può dirlo, quando l’impulso di partire è più urgente che trovare un buon motivo per farlo, puoi solo prendere i tuoi stracci e andartene. Un giorno ti spunterà la coda e non potrai negare a te stesso le risposte che ora spaventano senza spiegare nulla, allora vai, vai… Altro che Steinbeck, altro che l’America. Non ero che l’ennesimo somarello coi sacchetti di lavanda in cerca di fortuna; l’ho trovata camminando per vent’anni s’un filo appeso alle nuvole. Quella che vado a raccontarvi è la mia storia, per quanto surreale e grottesca l’ho vissuta sulla mia pelle e se qualcuno ha diviso con me parte del cammino può confermare che nulla è inventato né romanzato. Ve la racconterò così com’è apparsa ai miei occhi di giovane visionario.


Frammento 2. 
Leggendo Kerouac


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