Un ballo in maschera

 

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Un ballo
in maschera

Il Boia dell’Alpe n.29
Thriller italiano
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La montagna è un gioco di prospettive. Nasconde, poi quando meno te l’aspetti scopre e mette spudoratamente in piazza: tu pensi d’essere in raccoglimento solitario davanti all’immensità dell’universo e all’improvviso un’intera banda musicale ti sbuca da dietro al cespuglio. Così è la montagna penso tra me sentendo passi veloci trascinarsi dietro alle mie spalle, nel voltarmi l’uomo è già a poca distanza; s’avvicina alla vecchia che nel vederlo protendersi a baciarla sulla bocca si ritrae irritata: “Sciocco, finiamola. Fra poco saran qui”. Leggendo l’espressione interrogativa nel mio sguardo, la donna m’apostrofa con affettuosa ironia: “Oh andiamo Erminia, non avrete sul serio creduto che fra me e quest’imbratta-tele…”. L’uomo che ho visto poche ore fa uscire da una baracca sull’Alpe recando con sé due borse piene di lingue, mignoli, ventricoli, costole, avambracci incastonati in eleganti combinazioni di sacramenti, vetrinette e cornici, trovarmelo qui davanti con quell’aria da strafottente mi mette addosso una certa agitazione. La vedova interviene, ha fretta: “Non c’è tempo adesso per i dettagli, se avessimo voluto farvi del male eravate facile preda nei giorni scorsi non vi pare?”. Ha ragione, potevano uccidermi.

 



“La gente se ne va in giro a cacare
nelle botti dei ricchi, un asino è condotto in
parata, può accadere di tutto senza che
si riesca talvolta a distinguere dove finisce
il gioco e inizia la vita, dove l’impotenza
corteggia la sfortuna”


 

E’ un ballo in maschera quel che ormai da quasi una settimana si consuma fra questi luoghi intrappolati nel ghiaccio, un Carnevale senza inizio né fine dove non si distingue la realtà dalla finzione, lo scherzo dalla minaccia, l’erotismo spinto dall’omicidio; come in un delirante gioco di cabala sfilano insieme il re, la regina, l’alfiere, il cavallo e le torri, la morte va al casale dietro una fitta schiera di bambini travestiti da folletti. La vecchia e il quarantenne fingono così bene di amoreggiare che per quanto inverosimile sembra quasi impossibile non crederci, una folla indemoniata assedia la casa del prete sfasciando porte e finestre, salvo poi nascondere la mano giurando che è solo un gioco. Siamo in quel singolare periodo dell’anno dove l’ordine costituito decade, la gente se ne va in giro a cacare nelle botti dei ricchi mentre un somaro vien condotto in parata colla corona in testa, può accadere di tutto senza che si riesca talvolta a distinguere dove finisce il gioco e inizia la vita, dove l’impotenza corteggia la sfortuna. Veneranda non è l’amante del pittore, me ne farò una ragione; un’ironia sfrenata ha deformato anche il mio sguardo sulla tormenta, semmai dovesse capitarmi di vedere un orso fare l’equilibrista s’un tappo di spumante rovesciato, non me ne stupirei. Sono dunque io l’arma del delitto, non un coltello, non una corda né una bocca da fuoco, il povero Anacleto è rimasto vittima del vuoto che le parole han saputo creargli intorno; mafia, politica, appalti intrecciati come la paglia nel cappello, dietro di me s’intravede l’ombra d’un gigante assetato di sangue che manovra un’implacabile azienda criminosa; nonostante questo la tesi dell’odio personale è quella che maggiormente ha preso piede, a causa di ciò la riprovazione pubblica s’è riversata su di me: son l’unica a poter testimoniare del perverso congegno che ha travolto quel disgraziato, se finissi col perdere la ragione sarebbe impossibile ricostruire la verità; l’ombra del boscaiolo mi perseguita, i suoi nemici stanno a guardare aspettando il momento buono per saltarmi addosso, farmi sparire nel nulla o sottopormi allo stesso trattamento degli altri.

 

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Veneranda e i suoi vegliano da giorni come terribili e crudeli sentinelle, m’hanno spaventato a morte affinché potessi rendermi conto delle responsabilità che pesano sulla mia coscienza, ma nel momento del pericolo si sono schierate al mio fianco, una fiera milizia personale. Ignara di tutto mi son data alla macchia convinta d’essere braccata dal mondo intero, col rischio d’impazzire sul serio. Ora quel che serve son le prove, il solo modo per raccoglierle è offrirmi come l’esca del pescatore; potrei essere divorata dal pesce grosso, o nella migliore delle ipotesi condurre quei criminali senza scrupoli nella tana del lupo, prenderli nella rete. “Stanno arrivando, chi ha tempo non perda tempo” incalza Veneranda. Li vedo sfumare nella foschia del mattino, ombre che si muovono scomposte come morti viventi, il corteo delle maschere discende il fianco dell’Alpe fino alla strada provinciale dove un trattore attrezzato lo aspetta per trascinarsi dietro un grande carro allegorico. Martedì grasso, la tormenta ci balliamo sopra. Una sfilata si terrà per le vie del paese come ogni anno, stavolta però mi porteranno in gabbia fino al piazzale della chiesa dove si terrà un finto processo a mio carico; quei criminali potrebbero tentare di aggredirmi anche alla presenza delle massime autorità cittadine, sarà una chiara prova per chi non crede alla mia innocenza. Il corteo è pronto. (Continua a leggere)

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