Quando andavo in risaia. Gli anziani raccontano. Interviste in casa di riposo

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Quando andavo
in risaia

Scioperi non ne
facevano allora

In collaborazione con Villa Maia
via Altura 7, Monghidoro (Bologna)

DORMIVAMO IN TERRA

“Mi ricordo quando ci andavo io in risaia avevo dai 15 anni fino ai 23. Dopo ho sposato un contadino, pensa te. A’m pieseva quèl. Mi dava molto fastidio tutta quest’acqua, il freddo, era un po’ fatica. Veniva anche mia mamma e le mie sorelle, insieme nello stesso branco. Quando era il momento a mezzogiorno ti mettevi a sedere dove potevi in terra, mangiavi quello che avevi. Tante volte della mortadella attaccata alle biciclette che per il caldo cambiava colore, l’andavi a prendere piena di formiche, le spazzavamo via colle mani e poi la mangiavamo, non c’era altro. Un’ora e dopo giù a lavorare. Dormivamo in terra, la bicicletta alzata così colle ruote in aria e uno straccio sopra, andavamo colla testa all’ombra. La notte venivamo a casa, io ero a San Venanzio di Galliera. Ogni mattina in bicicletta dei chilometri, stanca morta. Era proprio così”.

L’ACQUA FINO AI POLPACCI

“Vuoi sapere di che classe sono? Non te lo dico, fai conto che da quando sono nata non ho perso neanche un giorno. Per forza! La mattina andavamo giù dalle otto fino alle cinque del pomeriggio. Dovevamo prendere l’erba in mezzo al riso, bisogna conoscerla, al sciavòn, la dovevi sapere perché le foglie erano uguali al riso ma un po’ lucide, allora le dovevi togliere. L’acqua fino ai   polpacci avevamo, le biscie che ti giravano intorno, passavano in mezzo alle gambe e poi via che andavano. Non facevano mica niente, stavi ferma e loro andavano via. Ne avevo paura. Niente stivali, quelli solo quando andavo a mietere, allora sì perché era freddo. D’estate piedi nudi, troppo caldo. Avevan due ragazzi che ci portavano da bere, facevano il giro con un vino che io dico lo facevano colle mele. Ogni ora, solo da bere nient’altro. Del vino lungo come la messa cantata. Una porcheria. In testa avevamo due fazzoletti non quelli da naso, erano proprio di quelli grandi che adesso non vanno neanche più, mica uno ma due ne volevano. Uno era troppo poco, bruciava la testa. E poi un cappello. Niente doccia, non c’era lì nemmeno dell’acqua da lavarsi, solo quella del riso ma per carità! C’era qualcuna che sveniva, ecco vero adesso mi ricordo. Allora la portavano all’ombra che le passava, non c’erano dottori, solo il caporale, quello c’è sempre stato. Di dietro a noi guardava se avevamo lasciato dell’erba. Allora lo diceva. Quella che stava male la lasciavano così finché non andava a casa, non ti so dire se la pagassero ugualmente. A me non è mai successo. Perché ho male alle ginocchia? E’ stata la risaia a rovinarmele, che ti credi sia stato secondo te? Tutto il giorno nell’acqua. Mi faceva male anche quell’altro, beate quelle che non l’han fatta la mondina. Quando lo dico a mia figlia erano altri tempi, ma l’ho fatto. Non me ne sono accorta subito, solo dopo molti anni quand’ero sposata. Abitavo già a Bologna, avevo il negozio. Mi sono accorta prima uno, poi l’altro. Le gambe a bagno dalla mattina alla sera, anche mia mamma ha male alle ginocchia, mia sorella pure lei. Nove operazioni in una stessa gamba”.

PIU’ CHE ALTRO CANTAVO IO

“La paga per l’amor di Dio si prendeva quasi niente, credimi era così. In Piemonte usava anche dare il sacchetto di riso quando tornavano a casa, non era bianco come quello di ora, aveva la buccia dovevi portarlo dove facevano quel lavoro lì. Si andava lo stesso altrimenti come facevi a mantenere la famiglia? Certo che cantavamo, più che altro cantavo io insieme a qualche altra vicino a me un po’ così amiche o vicine di casa, tre o quattro venivan tutte dal mio paese. Lì nel film ora fanno vedere che cantano tutti assieme, ma dov’ero io no. Ci davamo la voce cogli stornelli, io e un’altra di là. Eravamo due branchi soli poi non so una ventina ciascuno, anche il caporale ci teneva che cantassimo, c’è stato mio padre a farlo non era mica vecchio. Scioperi ne ho visti anche al tempo del fascio, se era vietato non lo so. Però l’ho fatto anch’io, ora non so dirti. Che fermassero i treni non mi ricordo ma può darsi che sia stato davvero, perché avevano tanto coraggio quelle donne lì. Ne parlavano, brave. Succedeva che qualche amica rimaneva a piedi, allora lo facevo anch’io di portare un’altra bicicletta coll’altra mano. Una volta una aveva un sonno che andarono via mentre pedalava s’è addormentata ed è caduta dentro un fosso, ma piangeva forte poverina! A un bel momento promettevano tanto ma quand’è stato alla fine non davano più niente, così scioperavano. Quando han cominciato a farli per davvero erano in tanti, ma è stato dopo la guerra, prima non si poteva. Il fascismo non l’ha mai permesso, a quel tempo si cantava faccetta nera sarai romana, Guai! Quelli poi li mettevano a casa, oppure andavano proprio in galera che stavan più fermi, son convinta. Li chiamavano bolscevichi. Erano maltrattati, le avevan tutte, non trovavano proprio da lavorare. C’era la casa del fascio, una volta sono andato su e l’addetto mi urlò dietro: “Saluta!”. Mi ricordo quando avevo il negozio a Bologna dopo la guerra, se c’era uno sciopero dovevo chiudere. Non si poteva tenere aperto, venivan dentro certe persone cattive e ti rovinavano il locale. Cantavano solo le canzoni del fascismo allora e zitto, il nostro Duce il nostro Re. Non cantavano mica Bandiera Rossa. Niente noi eravamo a suonare con la banda in un posto, a un bel momento il prete non voleva che avessimo fatto le canzoni che non eran di chiesa, hai capito. Allora quando siamo stati nell’andare a casa in tre o quattro abbiamo iniziato “Avanti popolo alla riscossa!”. Fermò il camion, era quello che usavano anche per le bestie. Dalle mie parti una suora prendeva in giro, diceva: “Bandiera rossa noi siamo in tanti, tutti ignoranti!”. Mi arrabbiai, andai dalla superiora o che la smetta o che vado via io”.

RISO E FAGIOLI

“Eravamo 14 ragazze tutte dello stesso paese, avevamo una signora anziana che faceva il mangiare, alla mattina ci davano un quarto di latte e dopo a lavorare solo una pagnottina mica tanto grande. eravamo in fondo all’acqua e mentre lavoravamo la mangiavamo  un po’ alla volta. Non fa bene, ma eravamo giovani. Neanche 17 anni, le altre più o meno la stessa età. Lomello, provincia di Pavia. A mezzogiorno andavamo su a mangiare sopra il letto ognuna sul suo, si perché era un unico stanzone. Riso e fagioli. Alla sera, fagioli e riso. Poi la domenica davano la carne, allora faceva il brodo. Pensava la padrona a cucinare. Mezzogiorno riso e brodo, la sera invece un bell’umido con le patate, era poi la stessa carne del brodo.Puoi scommettere che non facevamo indigestione. Sarà stata qualche muccaccia vecchia che costava poco. Passa il mese, allora noi  sapevamo che la mattina dovevano partire. Io tutta la notte ho cantato, io da sola. Si vedevano loro i padroni, appena sposati, la sua camera stavano dietro la tenda ad ascoltare me. Però al mattino stavo poco bene, arriviamo in stazione vado a prendere qualcosa in un bar e dopo stavo peggio. Quindi siamo arrivati a Bologna e da lì a casa”.


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