La Madonna coi baffi. Romanzo noir italiano

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La Madonna
coi baffi

Il Boia dell’Alpe n.13
Thriller italiano
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L’alba del terzo giorno, il sole è alto nel cielo. Aveva ragione la vedova, un bagno caldo e il malore è passato, mi sento un’altra. Posso alzarmi da sola, m’affaccio sulla porta della cucina e trovo quella sguaiata che amoreggia col quarantenne. “Mattiniera, mi compiaccio! Sembrate in forma”. Ridono entrambe guardandosi negli occhi. E’ vero, lo sono. “Che fate in piedi sull’uscio?”. Indica la poltrona ricomponendo nella vestaglia il seno avvizzito, lui solleva un poco il busto e accavalla una gamba tenendo il ginocchio nel palmo delle mani congiunte. Una scena pietosa. Dalla piccola finestra vedo luccicare la neve, il bianco fa quasi male agli occhi; non avevo prestato attenzione alle pareti del salotto la volta scorsa, erano rimaste in ombra nel lume tremulo delle candele. Appesa al muro vedo la Madonna di Pompei, del Piratello, di Lourdes, della Neve, del Fuoco, delle Sajette, la Vergine delle Grazie in cornici di legno antico finemente decorate. “Ah, quella poi è la mia preferita!” erompe la donna, che ha subito notato la mia curiosità. Rosari, croci, medaglie, più che una casa ha l’aria di quei negozi che vendono souvenir a Monte Sant’Angelo. Roba antica però, ha del gusto la vecchia. “L’ultima volta che ci siamo viste, cara… Non avete risposto alla mia domanda, ricordate?”. Ruoto le pupille intorno come se dovessi leggerla da qualche parte sul soffitto. “Perché il povero Anacleto s’è tolto la vita?”. Le ho già detto come la penso, era un delinquente, un maniaco sessuale, scomparsa la moglie s’è trovato pieno di debiti fino al collo; mentre parlo quasi meccanicamente, come una scolara che ripete la lezione imparata in fretta davanti al cancello di scuola, Veneranda mi scruta con insistenza. Poi torna a esporre la sua personale tesi.



“Potrebbe venire un Cristo in reggicalze e la
Madonna coi baffi a dirmi  che s’è appeso
a quel ramo da solo, non gli crederei.
Nessuno potrà convincermi che il
cappio al collo se l’è messo lui”


“Vedete Erminia, conoscevo bene quell’uomo, l’ho visto correre dietro alle farfalle da bambino e alle ragazze da giovanotto, ho assistito il padre al capezzale vestendolo colle mie mani il giorno in cui m’è morto fra le braccia. Potrebbero venire un Cristo in reggicalze e la Madonna coi baffi a dirmi che s’è appeso a quel ramo da solo, non gli crederei”. Ingoio saliva, non capisco dove voglia arrivare e perché torni sempre su questo argomento con me. Prosegue, “Il mondo gli crollò in testa all’improvviso, ogni giorno lo vedevo più cupo ma non per malinconia: era preoccupato, aveva paura. Venisse pure San Giacomo a cavallo, nessuno potrà mai convincermi che il cappio al collo se l’è messo lui”. Nel sentirla parlare così ho un fremito al labbro, “A sentir voi si direbbe un santo” replico indispettita. “Quel filibustiere aveva la cattiveria in corpo date retta a me, un oratore da comizio, un politico sempre in giro per sindacati, assemblee, occupazioni”. Veneranda non mi toglie da dosso le pupille di vetro azzurro, gesticolando concitata continuo, “Mandò in galera un poveraccio perché voleva portarsi a letto sua moglie, l’incastrò con delle foto compromettenti dopo averlo diffamato, sembrava un angelo ma nell’intimo era un mostro di perfidia”. Lei s’alza in piedi poggiandosi al bastone ricurvo, prende un grosso pezzo di legno dal vecchio baule, apre lo sportello della stufa e lo poggia sulle braci ardenti. Sempre di schiena la donna continua: “Siete voi a non capire. L’han trovato appeso a un ramo senza scarpe coi piedi che dondolavano a due metri da terra, dicono si fosse arrampicato fin lassù legando la corda per poi lasciarsi andare nel vuoto, ma non può essere andata cosi”. L’aria si scalda. “Ve lo garantisco. Il giorno prima era caduto ubriaco in un fosso, contusioni e slogature dappertutto, lo so perché io stessa l’ho raccolto; andavo a trovarlo ogni tanto e gli sbrigavo le faccende. Anacleto non avrebbe mai potuto arrampicarsi in quelle condizioni, non c’era alcun piano rialzato nei dintorni della pianta da cui potesse fare il gran salto. Ingrassato per la vita sedentaria, mangiava poco e male, venisse pure Sant’Antonio col maiale gli direi che non poteva essere da solo quel giorno: qualcuno deve averlo aiutato, basta un somarello, un colpo di frusta e via”. Ha gli occhi rossi, la vecchia. Da come parla, doveva volergli bene. Meglio non insistere.

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Il pittore alzandosi in piedi raccoglie le sue cose, “Mi spiace ma non posso trattenermi”. La vecchia lo bacia e l’accompagna alla porta, Asfodelio Maccheroni è impegnato in questi giorni, sta curando le scenografie per uno spettacolo di studenti all’Accademia di Bologna, prepara gli effetti speciali; lavoro onesto, pagano bene. Dopo aver chiuso la porta Veneranda siede al piccolo tavolo da pranzo in mezzo alla sala, si versa un bicchier d’acqua e ne riempie un secondo per me. “Dovete bere molto” dice. Restiamo un poco in silenzio, una lunga schiera d’istanti sfilano davanti a noi in parata come l’esercito della morte, l’ultimo in coda avrà in mano le forbici che tagliano il filo. “Non potete rimanere qui” conclude. Si assenterà un paio d’ore, vuol trovarmi un posto più sicuro; lei vive proprio davanti al santuario, tra botteghe aperte e pellegrini sia mai dovessero scoprirmi. “Non aprite a nessuno” raccomanda. Mentre scende le scale ripenso alla fuga nel bosco, l’incontro con quei carabinieri mai visti in paese. Sono accusata per l’omicidio d’una ragazza che il prete giura d’aver visto in salute ieri mattina camminare come niente fosse per le vie del paese; continuo a non capire. Sono stanca per la notte passata, sarà bene approfittarne e riposare. Un paio d’ore, dice la strega. Aspetterò. (Continua a leggere)

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Laureato al Dams di Bologna con una tesi sulla narrazione, Federico Berti è cantantautore, polistrumentista, uomo orchestra, pubblica romanzi, poesie, canzoni. “Il Boia dell’Alpe” è ambientato nel paese di Monghidoro sull’Appennino Bolognese, dove risiede stabilmente dal 2001.

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