La favola della merda. Memorie d’un saltimbanco. Artisti di strada Ep.5


Quando passa il carrozzone dei saltimbanchi pensiamo subito alla gioia, al romanticismo d’una serenata, alle lucciole nelle sere d’estate. Una cosa è vederlo, altra cosa è viverlo ogni giorno.In questo episodio parliamo di…

La favola
della merda

Frammento V

Commento musicale:
D. Reinhardt, “Minor Swing”
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L’INFERNALE 
CESSO CHIMICO

Siamo la terza generazione con la poltrona del papa nel cesso, candida come la morte coperta di morbido velluto circondata da fiori profumi saponi creme asciugamani stirati. Privilegio da aristocratici, degno brevetto francese per il sollazzo dei principi e dei re. I miei nonni evacuavano con dignità in una buca, sapevano sempre dove finiva il loro prodotto interno mentre noi tiriamo una catenella, pigiamo un mantice sentiamo lo scroscio e non ci pensiamo più. Salvo quando gli olezzi nauseanti risalgono in superficie, o quando il quartiere si riempie di pantegane. La cosa più ridicola dei carrozzoni moderni è il bagno, senza dubbio. Abituati alla cabina separata un po’ per la vergogna di mostrarci accovacciati col pisello di fuori e le cioccie pendule, un po’ perché in vacanza tutto dev’essere la replica del quotidiano, così l’ingegneria del tempo libero ha progettato queste ingombranti cabine che tolgono respiro al resto dell’abitacolo, richiedono prodotti specifici per una corretta conservazione delle escrezioni e comportano di fatto un’estensione virtuale del collegamento alla rete fognaria attraverso bocchettoni che si spalancano a cielo aperto, accogliendo gli effluvi immondi per convogliarli nel sistema delle acque nere comunali. Cioè ti stacchi da una rete per collegarti a un’altra, più scomoda e qualche volta persino a pagamento. Demenziale. In una buca però non sta bene, è da selvaggi. Così il turista della domenica si porta dietro le scatole cinesi infilate una dentro l’altra. Un serbatoio per le acque chiare, uno per le grigie, uno per le nere. Parliamone. Dopo le prime due settimane qualsiasi zingaro di buon senso usa il cesso come guardaroba e va a scavarsi una buca nel campo come facevano i suoi nonni e i nonni dei suoi nonni, o impara a mimetizzarsi nei bagni dei locali pubblici.


Francois Raulin simbolo del Cirque Bidon, un circo ‘di strada’ che girava ancora su carrozzoni a dorso di mulo negli anni ’90, non per necessità ma per vocazione. In direzione ostinata e contraria.

CHI NON PISCIA
IN COMPAGNIA

Di queste cose non si parla quasi mai nelle cronache, se diamo retta alla storiografia dobbiamo pensare che santoni e supereroi non abbiano mai prodotto merda in cinquemila anni di scrittura. Gli ideogrammi degli antichi egizi non contemplano alcun simbolo specifico per raffigurare l’atto della minzione. Eppure la prima cosa che t’insegnano in caserma è darti una regolata perché c’è un tempo per lottare e un tempo per cacare, la confusione fra i due potrebbe compromettere seriamente l’esito di una battaglia: ce lo figuriamo un assalto garibaldino con le camice rosse che si ritirano sul più bello in un campo di pannocchie? La merda è così importante che siamo costretti a sintetizzarla in laboratorio per concimare i campi, ma guai a parlarne: ho sempre pensato l’inventore del vaso sanitario chimico dovesse avere qualche problema di erezione.

Quando vivi in sei metri di convoglio, non puoi tollerare quel puzzo insopportabile che sale dalle viscere dell’automezzo d’estate, è semplicemente un’aberrazione mentale. Il carrozzone serve a dormire mangiare far l’amore, il resto della giornata uno lo passa fuori, all’aperto, in mezzo alle gente. Altrimenti era meglio la mansardina col prato all’inglese e le sdraio a prendere il sole! Al massimo un pappagallo, una padella da malato, quella può servire non si sa mai ti venissero i crampi all’intestino con venti gradi sotto zero in situazioni realmente inopportune! Ma è roba da emergenze. Di solito uno cerca i servizi al di fuori del mezzo. Quando possibile nei bagni pubblici, che sono lì apposta. Nelle autostrade puoi trovare anche le docce, una vasca per il pediluvio, poi nessuno sta a guardare quanto tempo ci passi dentro: un camionista che si rispetti ha i suoi tempi, la sua intimità. Del resto anche i vagabondi c’è quelli che se ne vanno a giro in astronave e quelli a dorso di mulo trenta chilometri alla volta. L’autostrada logora chi non ce l’ha! Se non trovi a portata di sfintere fiumi colline praterie cieli immensi immenso amore, devi adattarti in qualche modo; per fortuna ci sono le osterie, le trattorie, le locande. Dimmi se c’è il sapone e ti dirò se ho voglia di ritornarci… Ma questa è un’altra storia, si dovrà raccontare un’altra volta.

Continua
Frammento VI
Un gioco dell’oca


artisti di strada gigi russo
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