Mendico dunque sono. Memorie d’un saltimbanco. Artisti di strada Ep.23


csoa forte prenestino, roma
“S’apre il pesante cancello, attraversiamo una galleria dalle cui pareti i disegni scrutano il corteo dei saltimbanchi in marcia verso il centro della terra”. Foto: CSOA Forte Prenestino

Mendico
dunque sono

Framm.XXIII

Commento musicale:
Bjork: “Utopia”
FAI PARTIRE LA MUSICA

LE CHIAVI DEL FORTE

L’assemblea si tiene fra le rovine di una fortezza in parte diroccata, con tanto di ponte levatoio, torri da cui lanciare sassi e bottiglie incendiarie, un sotterraneo. S’apre il pesante cancello, attraversiamo una galleria dalle cui pareti disegni scrutano il corteo dei saltimbanchi in marcia verso il centro della terra. Oltrepassiamo una trattoria, una sala da tè, un’emeroteca. Torniamo a rivedere il cielo sulle due piazze d’armi circondate da un alto colle a strapiombo, nel quale s’aprono scuderie che un tempo custodirono la cavalleria blindata dell’esercito. Ora ospitano la sala da concerto, una palestra, un dormitorio pubblico, un ostello dove proprio in questi giorni alloggiano rifugiati politici dal partito dei lavoratori curdo. Molto vorrei dire sulle meraviglie di questa dimensione ‘altra’ nel cuore della periferia romana, ma preferisco invitarti a visitarla di persona.

Siam qui per un’altra epica battaglia, quella dei guitti da strada; attraversiamo l’area sosta per le carovane degli ambulanti e risaliamo il sentiero che porta a un piccolo anfiteatro naturale nel fitto della vegetazione, sarà una cinquantina di vagabondi come me coi pantaloni a quadri, il berretto unto, la barba incolta, quei maledetti sandali al piede che mi fan salire il sangue al cervello appena li vedo. Prende la parola un quarantenne di cui fatico a distinguere gli occhi sotto la folta chioma di riccioli brizzolati, tutti ascoltano in silenzio: ce l’ha cogli sbirri dice, un milione di multa gli hanno fatto quegl’infami, si son portati via pure gli strumenti musicali; dopo un complicato formulario d’improperi tira su col naso, rilassa la schiena, allunga le gambe. “I soliti fascisti”. Mostra il documento su cui discutere e deliberare all’unico punto in assemblea, segue vivace dibattito a tema libertà d’espressione, democrazia, censura. Un clima di partecipata cospirazione pervade l’aria, ma non appena prende la parola un napoletano che dall’abito arancione dell’Hare Krisna è passato non si sa come a quello bianco del Pulcinella, la conversazione ha una svolta inattesa.


Buskers in Halifax
“Lo chiamano il Ciuccio perché vive al passo del somaro trenta chilometri al giorno. Dorme sulla schiena dell’asino come Attila sul cavallo“. Nella foto: artista del circo si esibisce in strada

MENDICO
DUNQUE SONO


“Ho dovuto solo iscrivermi a un registro, mica niente di che”, spiega il napoletano. “Il suolo pubblico non lo danno mai nei posti dove lo chiedo ma sempre dove e nei tempi che dicono loro. Poi se piove, nevica o tira vento? Insomma alla fine mi tocca lo stesso andare abusivo, ma se mi fermano almeno ho qualcosa da far vedere. Di solito mi lasciano lavorare”, così spiega uno che lo chiamano il Ciuccio perché vive al passo del somaro trenta chilometri al giorno. Dorme sulla schiena dell’asino come Attila sul cavallo. L’assemblea non la pensa così, parte un missile di proteste. “Il solito cane sciolto!” sostengono quelli che il cappello non lo fanno ma vogliono rientrare nella normativa per lo spettacolo viaggiante, deregolare, liberalizzare. Enpals, Irpef, fattura, hanno in mente le grandi passerelle di artisti che fan tanto parlare nel mondo. Halifax, Toronto, Edimburgo. Pensano all’Europa del turismo e della cultura, finanziamenti a pioggia risucchiati nel vortice del tiriamo a campare.

S’alza in piedi un ometto piccino più barba che collo, le dita sporche di gesso colorato, dice: “Vorrai mica il registratore di cassa e lo scontrino, ma guardati bene e ricordati da dove vieni. Sei solo un figlio di papà e se vuoi saperlo, mi stai sul cazzo come tuo padre”. Gli risponde un ventenne biondo cogli occhiali e il caschetto sulla fronte, due folte sopracciglia, ha studiato drammaturgia all’Università: sogna di scrivere un giorno il suo Godot, la scena al momento lo snobba così prova a infilarsi dove può e come si dice in questi casi, lasciatelo passare il romanino. Vuol mettere mano ai fondi pubblici il ragazzo, non vale neanche la pena ripetere il suo pietoso discorso. “Parli come una troia da marciapiede, anzi con meno dignità” gli fa eco un trombonista sardo, guardandolo con un misto di sdegno e compassione. La palla rimbalza tra i convenuti, non trova pace. Mi sembra di sognare, penso tra me: vogliono bandire una crociata di pezzenti, scagliandosi contro l’unica licenza (oltre tutto gratuita) che un suonatore di strada possa mostrare al bisogno. Il solo riconoscimento istituzionale del fatto che mendico, dunque sono.


L’ETA’ DELL’INNOCENZA

Il mondo cambia in fretta. Quel muro lassù in Germania stava bene dov’era mi dico, anzi dovevano alzarlo un altro po’: davanti a me non vedo l’albatros di Baudelaire che maestoso vola nel cielo colle sue grandi ali, ma il caimano di Moretti che divora sua madre coi denti aguzzi. Siamo la generazione del mondo nuovo, figlia del terziario avanzato; cresciuti in case arredate con moduli componibili in fòrmica e l’amianto nel tetto, in compagnia di pugni rotanti, raggi fotonici e alabarde spaziali. Quel muro dovevano lasciarlo lì, altro che l’89.

Verso la fine dell’assemblea s’alza in piedi il più stronzo di tutti, lunghi boccoli raccolti sulle spalle prende la parola, tira fuori dalla tasca un documento, legge ad alta voce. Roba di fine anni ’20. E’ la lettera d’un cantastorie emiliano al Podestà di Reggio Emilia, un documento che ha trovato non so in che museo. “Da un po’ di tempo” scrive l’autore di quel documento “la piazza è invasa da straccioni che bruciano le strade portandovi confusione e malcontento. Inammissibile che nel sesto anno dell’era fascista vi siano ancora cittadini arroganti che pensino di poter vivere come parassiti della società”, per questo motivo il cantastorie Umberto Callegari, simulando una galattica leccata di culo al podestà ma di fatto mobilitando la macchina dello stato in favore della tradizione che in quel momento rappresentava, chiese per la prima volta l’istituzione d’un registro per suonatori ambulanti e cantastorie. Quello che poi diventerà il tanto vituperato Art. 121 T.u.l.p.s., contro cui quest’assemblea settant’anni più tardi si vuole scagliare. Ci guardiamo intorno, parlerà mica di noi!

Non lo sopporto quello là. Il dottorino o come altro lo chiamano. Prima o poi gli buco le gomme, così penso mentre lo vedo ripiegare con cura il documento e infilarselo nella tasca interna della giacca, camicia bianca stirata di fresco. Eppure carta canta. Il registro dei mestieri girovaghi non l’ha voluto Mussolini, l’han voluto gli artisti degli anni ’30 per difendersi dalla camorra dei girovaghi senza tetto né legge che rosicchiavano lo spazio vitale alla libertà d’espressione, quella autentica. Il forte abbandonato incombe come una foresta impenetrabile, queste mura cadenti han visto combattere ben più drammatici conflitti. Ogni tanto qualche topo di fogna vien su dai sotterranei per godersi lo spettacolo degli imbonitori colla partita Iva, che corrono dietro alla stella cadente del futuro. Quel muro stava bene dov’era, continuo a ripetere fra me. Altro che l’89.

Continua:
Framm.XXIV
“Un uomo libero”


artisti di strada gigi russo
Pagina del famoso organizzatore

Tags:

Add a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Condividi